Il Viminale se la prende con la Tav

by Editore | 15 Maggio 2012 7:48

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«Tav madre di tutte le preoccupazioni, lavoreremo anche per il Piemonte» dice la titolare del Viminale da Alessandria, dove si trova in visita. Parole che non lasciano dubbi su cosa intenda quando, del tutto arbitrariamente, crea il binomio No Tav-terrorismo. Nulla di strano, dunque, se l’equazione della ministra dell’interno provoca l’immediata reazione del movimento, sui social network e non solo. «Certo che il Tav per loro lo è una preoccupazione, perché è la loro cassaforte», dice Alberto Perino, uno degli esponenti del movimento più in vista. «Ma il Tav è anche la madre di tutte le nostre preoccupazioni perché noi non vogliamo che si faccia. In questi ultimi giorni si fanno pericolosi parallelismi tra il movimento No Tav e la lotta armata. Noi rimandiamo tutto al mittente perché queste cose non ci toccano e, anzi, ci fa pensare che dietro tutto questo ci sia la mano dei servizi. Noi di questo Stato non ci fidiamo». Interviene anche Paolo Ferrero: «Le parole del ministro sono vergognose», dice il segretario di Rifondazione comunista. «La Val di Susa non è un problema di ordine pubblico e nulla ha a che fare con il terrorismo».
Passa qualche ora e al Viminale capiscono l’errore e corrono ai ripari. È la stessa Cancellieri a correggere il tiro precisando meglio le sue parole: «La Tav è la madre di tutte le preoccupazioni per i problemi legati alle opere da realizzare, alla necessità  dei comuni e alle rivendicazioni delle comunità  locali», spiega il ministero in una nota aggiungendo che si tratta di una preoccupazione che non è legata in alcun modo al terrorismo.
Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, quello vero, per giovedì è fissata la riunione del comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza nella quale, tra le altre cose, si dovrebbe dare il via libera all’uso dell’esercito per le operazioni di sorveglianza dei cosiddetti obiettivi sensibili. Nei giorni scorsi le prefetture sono state allertate perché segnalino i possibili bersagli, in modo particolare economici, sociali e legati al mondo del lavoro. In tutto i luoghi considerati a rischio, sono qualche centinaio, la protezione potrebbe esser affidata ai soldati. «L’esercito è prontissimo a supportare le forze di polizia nei termini che il Paese chiederà », ha assicurato domenica il capo di Stato maggiore dell’esercito Claudio Graziano. Non dovrebbe esserci però un aumento del numero di soldati, circa 4mila, già  impiegati nell’operazione «Strade sicure», piuttosto una loro dislocazione diversa sul territorio. «A meno che – ha precisato Cancellieri – non dovessero succedere fatti particolari come quelli che abbiamo visto». Sempre alle prefetture, infine, è affidato anche il compito di stilare un elenco dei soggetti a rischio per i quali sarà  necessario prevedere una scorta.
Ma il comitato convocato per giovedì al Viminale dovrà  lavorare soprattutto sull’azione di intelligence. 
In questi giorni gli 007 stanno controllando i filoni di finanziamento delle organizzazioni eversive alla ricerca anche di possibili collegamenti internazionali con formazioni analoghe in Europa ma non solo. Lo scopo è di verificare se chi ha sparato al manager dell’Ansaldo Nucleare il 7 maggio a Genova abbia agito da solo o faccia parte di un piano più generale.
Il tutto all’insegna della cautela, sotto tutti i punti di vista. La rivendicazione fatta dalla Fai dell’agguato a Roberto Adinolfi – per quanto ritenuta credibile da Cancellieri – non basta però per parlare di una riedizione degli anni di piombo. «Quella del terrorismo è una stagione chiusa e sarei molto cauto ad affermare il contrario. Il terrorismo è finito con le Brigate rosse, ora c’è un rigurgito che avevamo ampiamente previsto», ha detto ieri il capo della polizia Antonio Manganelli, convinto che la fase attraversata dal Paese sia piuttosto di «tensione sociale, come quelle che ciclicamente capitano a causa di crisi occupazionali, precariato, e che creano malcontento ed effervescenza». A Manganelli risponde Susanna Camusso: «Le tensioni sociali sono figlie della difficoltà  economica, ma il terrorismo non è figlio del disagio sociale e credo che su questo non ci possano essere equivoci».

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