Il ritorno alla dracma spaventa i greci in coda agli sportelli, è fuga dalle banche

by Editore | 17 Maggio 2012 6:44

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ATENE – Poveri si, fessi no. E i Greci – davanti allo spettro del ritorno alla loro vecchia valuta nazionale, la dracma – hanno deciso di affidare i loro risparmi alla più solida e antica delle casseforti: il materasso. Abbandonando così i forzieri delle banche. «Lei lascerebbe i suoi soldi in banca sapendo che dalla sera alla mattina potrebbero cambiar nome e perdere il 60% del loro valore?», dice con l’aria di chi è lì per caso Yannis Stophoros, prelevando 500 euro dal bancomat della Trapeza Pireus mimetizzata tra i bar di Kolonaki. Domanda retorica. No. E infatti da 48 ore a questa parte, ad Atene è scattata la grande fuga dai conti correnti. «Lo scriva: questi politici fanno schifo, le elezioni non cambieranno niente. E io non starò certo qua ad aspettare che mi facciano sparire nel nulla i pochi soldi che mi sono rimasti», dice la 48 enne Helena Kintori (come si qualifica lei) entrando a mezzogiorno nella filiale della Marfin di Odos Akademias.
Non è l’unica a pensarla così. In due giorni, senza scene di panico, ma con un assalto metodico e silenzioso agli sportelli, i greci hanno ritirato dai loro depositi 1,2 miliardi di euro, qualcosa come 416 mila euro al minuto. La cronaca minuto per minuto di questo stillicidio l’ha fatta a tutto il paese un cronista d’eccezione, il presidente della Repubblica Karolos Papoulias. «Alle quattro di ieri erano svaniti nel nulla 700 milioni di euro – ha raccontato martedì ai segretari di partito riuniti a casa sua per le consultazioni di governo – Il governatore della banca centrale George Provopoulos mi ha detto che entro sera si sarebbe arrivati a quota 800». La sua idea era fare un po’ di pressing per la formazione di un esecutivo di emergenza nazionale in nome dell’euro. E invece le confidenze sulla telefonata con la Banca di Grecia si sono trasformate in un boomerang: l’accordo non c’è stato. Atene tornerà  alle urne il 17 giugno. E il resoconto stenografato dell’incontro – finito sulle prime pagine di tutti i giornali – ha convinto ieri anche i più irriducibili euro-ottimisti a rimandare gli appuntamenti di giornata e correre in banca per evitare di veder trasformati i loro risparmi in dracme destinate a svalutarsi un secondo dopo l’introduzione almeno del 30%.
Il copione della grande fuga, a dire la verità , non è una prima assoluta. Anzi. A gennaio del 2010 – sembrano due secoli fa – nei caveau della banche elleniche c’erano 240 miliardi di euro. Ieri sera eravamo a quota 163. Saldo: 77 miliardi volatilizzati in 30 mesi come per magia. «Sotto l’ombrello del segreto bancario elevetico ci sono già  da un po’ di anni almeno 280 miliardi di soldi made in Greece», calcola Dimitris Kouselas, ex segretario al ministero delle finanze. E solo nel 2011, garantiscono gli agenti immobiliari di Londra, i Paperoni ellenici (molti di più dei 15mila che dichiarano oltre 100 mila euro al fisco) hanno speso 250 milioni per comprare loft e appartamenti da sogno tra Kensington e Chelsea.
Oggi però è tutta un’altra storia. Due anni di crisi hanno messo ko le banche del paese, in messianica attesa dei 23 miliardi promessi dalla Trojka (e non ancora sborsati) necessari per puntellare i conti ed evitare il crac. Oggi a tenerle in vita è la maschera ad ossigeno delle linee di emergenza della Bce. Ma la corsa agli sportelli di queste ore rischia di dar loro il colpo di grazia, accelerando la deriva un po’ nichilistica di Atene verso l’addio all’euro. A Francoforte si è già  acceso l’allarme rosso ed Eurotower – a testimonianza della delicatezza della situazione – si è affrettata a far sapere di «essere pronta a sostenere le esigenze di liquidità  degli istituti». 
Si vedrà  se le rassicurazioni di Draghi basteranno ad arginare l’emorragia di capitali. Finora è stato come provare a fermare il vento con le mani. «Noi abbiamo cercato di metterci una toppa con un favorevolissimo scudo fiscale per rimpatriarne almeno un po’», racconta un funzionario di alto livello del governo Papandreou. Ma non è servito a niente. Malgrado una tassazione light al 5% a fidarsi sono stati in pochi. E alla fine sono rientrati solo 500 milioni. Difficile dar torto a chi non ha aderito visto che il cattivo esempio arriva dall’alto: «Nell’ambito dei controlli di questi mesi, abbiamo scoperto che un membro del Parlamento ha spostato oltrefrontiera oltre un milione di euro», ha confessato candidamente davanti alla commissione per la trasparenza Panagiotis Nikoulidis, presidente dell’autorità  anti-riciclaggio. I ricchi (il nero ad Atene vale circa 60 miliardi, il 25% del pil) hanno già  spostato da anni i loro soldi lontani dagli occhi dell’erario e dal rischio dracma. All’assalto all’arma bianca nelle ultime ore sono andati i peones dell’euro che i soldi, invece che investirli a Chelsea, li mettono nel materasso. E hanno gettato nel panico i mercati dove si rincorrevano le voci (smentite) di un tetto di 50 euro ai prelievi. La stessa scena andata in onda alla vigilia del crac argentino. «Io dell’Argentina non so niente. So solo che non voglio essere l’ultima a rimanere con il cerino in mano» dice Kintori. Il timore dell’Europa – il finale da incubo cui nessuno vuol nemmeno pensare – è che lo stesso discorso inizino a farlo gli spagnoli, i portoghesi e gli italiani.

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