Il partito della guerra alza la voce contro l’Iran
L’ambasciatore iraniano presso l’Aiea, Ali Asghar Soltanieh, appariva soddisfatto due giorni fa parlando dei colloqui a Vienna sul nucleare tra il suo paese e l’Aiea. «Abbiamo avuto incontri positivi. Ogni cosa va nella giusta direzione», aveva commentato Soltanieh riferendosi all’esito della seconda e ultima giornata di colloqui nella capitale austriaca. È troppo ottimista l’ambasciatore di Tehran. La questione del nucleare iraniano è politica, non solo tecnica. E non dipende solo dalle intenzioni vere o presunte dell’Iran di dotarsi di armi atomiche. Il partito della guerra continua ad alzare la voce. Il governo israeliano – che sollecita «l’opzione bellica» – considera «insufficienti» le richieste fatte finora dalla comunità internazionale all’Iran nell’ambito dei negoziati 5+1.
Israele giudica lo stop di tutti i processi di arricchimento dell’uranio, anche a livelli bassi, conditio sine qua non di qualunque accordo con l’Iran. «Si deve esigere lo stop totale dell’arricchimento in Iran, anche al 3,5%», ha avvertito qualche giorno fa il ministro della difesa israeliano Ehud Barak facendo riferimento alla soglia (quella compresa fra 3,5 e il 20%) considerata di norma compatibile solo con l’uso a scopi civili o scientifici dell’energia atomica. Condizione che l’Iran non accetterà mai e Israele lo sa bene. Barak è partito per gli Usa l’altra sera e il quotidiano Haaretz ieri riferiva che anche il capo dell’intelligence militare, il generale Aviv Kochavi, due settimane fa ha visitato Washington in segreto e ha anche avuto incontri a New York con rappresentanti delle Nazioni unite. Non occorre avere la palla di vetro per conoscere il contenuto dei colloqui avuti in terra americana da Barak e Kochavi: Iran e Siria e naturalmente il movimento sciita libanese Hezbollah. Tel Aviv vuole che vengano fissate delle scadenze precise per valutare i risultati delle sanzioni internazionali contro l’Iran. Il governo di Benyamin Netanyahu – allargato ora anche al leader dell’opposizione Shaul Mofaz – li prevede «scarsi», ossia gli iraniani continueranno a produrre l’uranio. Esito che aprirebbe la strada all’attacco aereo israeliano alle centrali iraniane, questa volta con la benedizione degli Stati uniti. Barack Obama non vuole un attacco nei prossimi mesi – cruciali per le presidenziali americane – ma non ha mai escluso «l’opzione militare».
Nel Golfo perciò la tensione sale con il passare delle settimane e mentre Israele e gli Usa preparano la guerra – nonostante il parere nettamente contrario espresso martedì anche dal think tank «Rand Corporation», consulente del Pentagono – le sei petromonarchie del Golfo si organizzano per affrontarne le conseguenze, che si prevedono devastanti. Il primo passo in verità non è andato secondo i disegni della monarchia saudita che lunedì avevano convocato a Riyadh un summit per la creazione di una Unione del Golfo che, mascherata da progetti di moneta unica e dall’abolizione dei dazi doganali, mira a creare un comando militare unificato contro le «minacce esterne». Il Bahrain, di fatto un protettorato saudita, si era detto pronto con entusiasmo ad «unirsi» ai sauditi e anche l’Oman appariva sul punto dare luce verde. Invece Qatar ed Emirati arabi uniti – poco entusiasti di lasciare il comando ai rivali sauditi – hanno frenato l’operazione Unione del Golfo.
Da parte sua l’Iran aveva ammonito Riyadh dall’assorbire il vicino Bahrain, popolato in maggioranza da sciiti e da oltre un anno teatro di una rivolta contro la monarchia sunnita. Tehran ha fatto anche sapere che a «scopo anti-pirateria» invierà le sue navi da guerra a pattugliare un’area più ampia a ridosso dello Stretto di Hormuz (la «bocca» del Golfo dove transita ¼ del petrolio mondiale) e nell’Oceano Indiano. Acque dove si alternano – secondo indiscrezioni – i sottomarini israeliani armati con missili (pare anche testate atomiche) che tengono sotto tiro l’Iran. Con l’arrivo, all’inizio del prossimo anno, del quarto ed avanzatissimo sommergibille della classe Dolphin (costruito dalla tedesca Howaldtswerke-Deutsche Werft), la Marina militare israeliana sarà la più potente della regione, in grado di colpire ogni punto del territorio iraniano e di infliggere un potente «strike» anche con missili nucleari. Nel frattempo continuano in Giordania, sotto il comando americano, le manovre «Eager Lion», 12 mila soldati di 17 paesi (Italia inclusa), le esercitazioni militari più ampie svolte in Medio Oriente negli ultimi 10 anni. Obiettivo Iran e Siria?
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