Il nostro lavoro per dare voce ai palestinesi

by Editore | 26 Maggio 2012 13:38

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Salman ha sbagliato indirizzo perché il manifesto ha sempre sostenuto nei suoi 41 anni di vita, e in tutte le stagioni politiche, i diritti dei palestinesi, e continuerà  a farlo. Venendo alle questioni poste in evidenza da Salman, non neghiamo gli sforzi fatti per la riconciliazione nazionale, desiderata da tutti i palestinesi, ma i risultati parlano da soli. La responsabilità  della mancata applicazione degli accordi di pacificazione tra Fatah-Hamas non può essere attribuita solo ad Hamas, come afferma Salman. Il movimento islamico ha non poche colpe, in particolare quella di volersi tenere stretto, senza dirlo pubblicamente, il minuscolo «emirato» che ritiene di aver creato a Gaza dopo il 2007 (l’ala militare di Hamas è contro la riappacificazione con Fatah e l’Anp). Altrettanto evidenti però sono le colpe di Fatah (spina dorsale dell’Anp) o, per essere più precisi, di una parte di esso. Non è di poco conto la decisione presa dal presidente Abu Mazen di confermare alla guida del governo Salam Fayyad, dato che Hamas ha posto come prima condizione (accettata al Cairo e Doha) per la formazione di un governo di unità  nazionale, proprio l’allontamento dalla stanza dei bottoni del premier in carica. Salman può non accettarlo ma tanti palestinesi nei Territori occupati pensano che l’Anp ha scarsa libertà  di manovra a causa della sua dipendenza dagli Stati Uniti e dall’Europa. Non pochi militanti di Fatah in Cisgiordania dicono che la riconferma di Fayyad è frutto delle pressioni di Washington e Bruxelles. Salman, in evidente riferimento all’occupazione israeliana, sostiene che la polizia e le forze speciali dell’Anp hanno il compito di garantire la sicurezza dei palestinesi «contro un nemico che non solo viola e nega ogni nostro diritto ma nega anche la nostra semplice esistenza in quanto popolo e nazione», e, quindi, non di dare la caccia ad Hamas come ha scritto il manifesto. Questo forse è vero sul pianeta Marte, non sulla terra e sicuramente non in Cisgiordania. Le forze di sicurezza dell’Anp, sulla base degli accordi di cooperazione con Israele, non possono in alcun modo ostacolare le operazioni delle truppe dello Stato ebraico. Potremmo fare tanti esempi per dimostrarlo, visto che di notte i reparti speciali israeliani entrano ed escono dalla Cisgiordania per arrestare «sospetti» senza incontrare alcuna opposizione, anche nella stessa Ramallah dove ha sede il quartier generale dell’Anp. Clamoroso fu il caso dei sei palestinesi uccisi dalle truppe israeliane in pieno centro a Ramallah il 5 gennaio 2007 (dove erano i militari dell’Anp?). Gli Usa contribuiscono con milioni di dollari all’addestramento (in Giordania) dei reparti speciali dell’Anp. A coordinarlo fino a qualche tempo fa c’era un generale americano, Keith Dayton. In un rapporto destinato al Congresso Usa pubblicato il mese scorso (http://www.[1] f a s . o r g / s g p / c r s / m i d e a s t / RS22967.pdf) è scritto (pag. 2) che i fondi statunitensi dati dal 1994 ad oggi all’Anp hanno avuto lo scopo anche di «Combattere, neutralizzare e prevenire il terrorismo contro Israele del gruppo islamico Hamas e di altre organizzazioni militanti». Un gran numero di palestinesi crede nella resistenza popolare non armata ma, allo stesso tempo, rifiuta la cooperazione di sicurezza Anp-Israele, di cui ha chiesto la fine anche un leader importante di Fatah, Marwan Barghuti. Il manifesto non fa altro che riferirlo ai suoi lettori.

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