Il mio corpo è fatale

by Editore | 27 Maggio 2012 12:19

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Un anno nodale è il 1936. Ben due film, non in concorso, sono tornati stranamente alla «sostanza oscura» di quei mesi. Il primo è Hemingway & Gellehorn , mélo militante del redivivo Philip Kaufman ( L’insostenibile leggerezza dell’essere ), sulla coppia artistica, e sensuale testimone vitale della storia del ‘900. E visto che tutti conoscono di più la star di Addio alle armi della giornalista, per ribilanciare le gerarchie Hbo ha preteso Nicole Kidman per il ruolo della bionda corrispondente di guerra, «irresistibile come Lauren Bacall», che lui amò quasi come un compagno di bevute. E un copione a divulgazione così basic e personaggi storici di contorno così schematizzati (Ivens, Dos Passos, Capa, Koltsov, Welles…) da mettere lo spettatore in perenne stato d’allerta. Come dire: «cercate di scansare le inevitabili falsificazioni, come Ernst e Martha scansarono le mille pallottole che gli spararono contro». L’arte è falsità . L’altro film è 25 novembre 1970, il giorno in cui Mishima ha scelto il suo destino , lezione profonda di storia e cultura giapponese, del veterano Koji Wakamatsu, con al centro il più inafferrabili degli intellettuali di destra, macho e omosessuale, «pacifista» e militarista, aristocratico e «pasoliniano», infatuato di tradizione samurai quanto di Rilke e Wilde, attore di film yazuka e interprete delle incursioni più «avangarde» del «butho fotografico» (Eikoh Hosoe, Tamotsu Yato) che combatté contro l’invasione Usa in Vietnam con la stessa veemenza delle organizzazioni dell’estrema sinistra. E rese perfino omaggio agli studenti che occupavano le università , accettando il pubblico dibattito. E, pur anti-rivoluzionario drastico, anzi fautore del ritorno all’ImperatoreDio, riconobbe loro onestà , purezza d’animo, e l’anticonformismo che portarono i suoi 40 romanzi a sfiorare il Nobel. E un’identica voglia radicale di cambiare il paese, contro gli orrori del capitalismo che porteranno a Fukushima e l’opportunismo di destra ufficiale e Pcg. E la stessa alta coscienza etica che avrebbe condotto gli emme-elle al suicidio della lotta armata e lui all’auto-immolazione spettacolare, assieme al braccio destro della sua milizia privata, «Tatenokai». Come un bonzo buddista a Saigon, così Mishima dichiarava il suo più alto «sì alla vita e dunque anche alla morte», in segno di protesta contro il trattato d’amicizia nippo-americano, l’aggressione in Vietnam, la «nuova costituzione» e un «esercito di autodifesa» che, sottomesso come era perfino alla polizia, non era che un teatrino di burattini in mano a Washington. Entrambi i film hanno dunque cercato di chiarire, utilizzando ricchi materiali di repertorio (Kaufman alla «Zelig», Wakamatsu separando il b&n del repertorio dal colore della finzione), le scaturigini e le conseguenze del secondo conflitto mondiale e dei due più celebri e antitetici «suicidi artistici». Entrambi collegati, per lontananza sbandierata o vicinanza nascosta, all’omofobia dilagante nei regimi autoritari e nelle democrazia. Nel 1936 iniziò l’aggressione anti-repubblicana in Spagna, fiancheggiata dagli aerei nazifascisti. Bombardamenti e eccidi contro «civili europei» non se n’erano mai visti. Iniziava un incubo che, da Helsinki a Dresda avrebbe condotto fino a Dachau e Hiroshima. Anche i corrispondenti di guerra e i documentaristi non sarebbero mai più stati gli stessi. Tra loro questa giornalista progressista, amica di Eleonor Roosevelt, che si catapultò a Madrid per seguire il progetto di Ivens Terra di Spagna e che nel 1940 sposò Hemingway e con lui (e, ingelosendolo, anche senza di lui) visse altre avventure al fronte. Fece dirottare, per esempio, dal Kuomintang a Mao e Ciuenlai gli aiuti americani antigiapponesi. Ma ruppe presto il sodalizio d’amore con il più appassionato, vitale, suscettibile e macho degli scrittori quando lui le scippò la corrispondenza per Collier’s alla vigilia dello sbarco in Normandia. Il film, che si è basato anche su un doc Bbc del 2003, è girato dal punto di vista di questa pioniera appassionata, seducente, esaltante del giornalismo bellico, morta nel 1998 che, prima di Marie Colvin, Christiane Amanpour o Lara Logan, mise in discussione la «versione ufficiale dei fatti», l’ideologia dell’obiettività  e le «macchine della propaganda». Partendo dalla vita dei «senza potere». E, attenti al «caso Paco Zarra» e al «caso John Dos Passos»: scoprirete che il cattolico Ernst e la populista Martha ebbero più di un problema di coscienza, e lui non poca omofobia da farsi perdonare, ci dice il copione di Jerry Stahl e Barbara Turner. Il 1936 fu anche l’anno fatale per la Kodoha, la fazione più fascista dell’esercito giapponese, pronta a invadere, in nome del «bushido», della spiritualità  samurai, l’Urss, ma annientata dopo il suo tentato colpo golpe del 26 febbraio. Mishima aveva dedicato a quei «martiri» il suo unico film da regista, Patriottismo , raccontandoci il «seppuku», il suicidio rituale di un ufficiale (e di sua moglie), che anticipava il suo. Wakamatsu, che è di estrema sinistra, ha messo in prosa critica quell’ipnotico poema.

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