by Editore | 8 Maggio 2012 10:01
Resta lì per ore, a un soffio dalla vittoria al primo giro, mentre nello scrutinio va in scena il film dello sgretolamento e poi del crollo fin giù all’asfalto del Pdl; della genuflessione della Lega sotto il peso dei suoi scandali; e persino del floppone del terzopolista che passa il turno ma le cui belle speranze si fermano sotto quota 15. Per Genova la festa è rimandata di due settimane. Marco Doria, l’uomo per cui la città sfiduciata ha riesumato il suo ammaccatissimo orgoglio da superba, arriva nella piazzetta dove si sono riuniti i suoi sostenitori solo quando lo spoglio è a metà , e il risultato è consolidato. Come sempre non vuole parlare a vanvera. «Proseguiamo con determinazione e serenità , parleremo ancora ai cittadini in modo serio e non demagogico». Ma già al mattino si sa che a sera non si brinderà , comunque vada: non c’è niente da brindare in una città che si sveglia con uno sparo contro un manager dell’Ansaldo, a due passi da un seggio elettorale. Una gambizzazione preparata con cura meticolosa, vecchio stile Br. E nel popolo di Doria ce n’è di gente che non ha dimenticato quegli anni.
A metà pomeriggio, Silvio Ferrari, elegantissimo signore con quarant’anni di politica alle spalle, tutti dalla parte del Pci e seguenti, gli ultimi con Sel ma senza incarichi, l’ex professore che qui tutti indicano come il vero ispiratore della candidatura di Doria (e naturalmente lui si schermisce), dice che «il 45% dei genovesi non ha votato. Questo è un dato per noi drammatico, un elemento di riflessione autocritica profondissima». Per dire, lo stile: qui nessuno si autocelebra. La verità sarebbe che è andata molto bene, con un candidato che quasi acciuffa la vittoria, la sua lista arriva all’11, ma l’understatement è genovese. E comunque l’astensionismo è la prima preoccupazione del prossimo sindaco: l’affluenza scende di sei punti, dal 61,75 del 2007 al 55,58.
La destra crolla. Al 8,9 il Pdl che cinque anni fa aveva il 22 e rotti, il candidato Pierluigi Vinai, pupillo del cardinal Bagnasco, arriva al 12 che è meno del terzopolista Enrico Musso (14,5), che passa, e soprattutto del giovane grillino Paolo Putti, 13,9 che per qualche ora è l’uomo del giorno. È circondato da un’isteria degna di miglior causa, a sera tutti a festeggiare per i vicoli, ma lui è un bravo ragazzo, un operatore sociale e si è fatto la campagna alla larga dal comico capocorrente che qui in città non è proprio amatissimo. Quanto alla Lega, nella città del tesoriere Belsito resta al 3,75, un brillante avvenire alle spalle.
Dalla parte di Doria invece va bene Sel, anche la Fds, chi non tiene è il Pd. «Non ci sono dati con cui fare raffronti» continuano a dire, ma il ragionamento è: cinque anni fa il Pd non c’era e l’Ulivo ha preso il 34,6; alle regionali del 2010 il 26, ma c’era in più una fortissima lista Burlando. Stavolta non è arrivato al 25. Non tarderanno le polemiche. «La mia lista non ha cannibalizzato il Pd, forse ha trattenuto al centrosinistra quelli che non l’avrebbero votato», replica già Doria.
E intanto riprende la sua corsa. Ci sperava, a una vittoria subito, ma ha tenuto i piedi per terra, e mantenuto fede alla sua eleganza spartana, bisogna chiamarla così, quella di un uomo che da sindaco rientrerà in un palazzo che un tempo lontano era di famiglia. La sera di domenica se n’è stato alla larga dai seggi è andato a cena da don Gallo, alla comunità di San Benedetto, con la moglie e due figlie. Un momento a tu per tu, quasi di raccoglimento, con l’uomo – un prete – che con la sua verve si è messo la croce sulle spalle e si è trascinato tutti, la città gli artisti e la gente di tv, tutti quelli a cui è abituato a chiedere una mano. E di mani, ne sono arrivate tante. E sul palco della chiusura della campagna elettorale, con Bersani e Doria accanto per la prima volta, è stato di nuovo il “don” a fare quello che nessuno riusciva a fare, chiamare un applauso per tutti, intonando un «Guarda qua, che bello, c’è la Marta e la Roberta» nel senso di Vincenzi e Pinotti, le due sfidanti battute da Doria alle primarie che poi in campagna elettorale non si sono fatte vedere in città , «finalmente, stiamo di nuovo tutti insieme».
E dire che neanche si conoscevano, con Doria. Ma i sette firmatari del primo appello erano quasi tutti compagni di strada della comunità . Così Don Gallo «ci ha messo meno di un minuto a capire che era la scommessa giusta per la città », racconta Domenico ‘Megu’ Chionetti, il braccio destro del sacerdote. «Ha capito che se qualcuno non faceva uno scatto, la città andava alla deriva». La deriva sono le divisioni della sinistra. Il presidente della Regione Burlando ha sostenuto Doria appena le sue compagne di partito si sono reciprocamente levate di mezzo. La deriva è il lavoro che si perde come una vena aperta. Il centro della città , il voto colto e di opinione, era già con Doria alle primarie. Ma ora si aspetta di capire quello popolare «da Sampierdarena a Voltri, quei 12 Km dove c’è una città vera», spiega Ferri. È lì che ora Doria dovrà tornare.
Anche se la sua battaglia l’ha già vinta. Ha imposto uno stile, un’arancione a modo suo, nessuno spin doctor, qualche dritta dai comunicatori di Pisapia e Vendola. Una campagna elettorale low cost. Ma un gruppo di volontari veri, gente che trascini fino a notte a parlare. Come Ludovica, di sinistra ma senza partiti, che lavora in una casa editrice e conosceva Doria come un intellettuale serio, e quando ha saputo che si candidava gli ha detto: «Sono qui». O Carla, attivista ambientalista, della Lega per l’allattamento. O Massimo, che al G8 faceva il “sanitario” del Movimento, e con i suoi occhi ha visto Diaz, che in questi giorni viene proiettato alla sala Ariston. Anche per lui politica tanta, partiti zero: «A ottobre mia moglie mi propone di andare a una cena per conoscere questo Doria, candidato alle primarie. Io gli dico che per me non è aria, che vengo però gli rompo le balle». È andata che Massimo è uno dei coordinatori della campagna. «Se lo conosci ti convince, proprio perché non ha l’aria di uno che vuole convincerti», spiegano. E se Genova indicherà la strada di un nuovo centrosinistra, sarà anche per questo, non solo per le alchimie dei partiti. La politica non è comunicazione, non solo almeno.
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