Il Manifesto al capolinea I liquidatori: «Si chiude»

by Editore | 12 Maggio 2012 14:39

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ROMA — Una copertina «molto speciale», così la definisce Norma Rangeri, direttore de il manifesto, quella uscita stamattina in edicola. In prima pagina campeggia un «No» cubitale, ad esprimere la reazione «di sconcerto e rabbia» provata ieri da tutta la redazione dello storico quotidiano comunista, davanti al fax arrivato alle 17.30 nella sede romana di via Bargoni. «Oggetto: comunicazione cessazione attività  aziendale e richiesta concessione trattamento straordinario di integrazione salariale», era questo infatti il brusco incipit del documento — «assolutamente inaspettato» denunciano i giornalisti — inviato dai funzionari dei ministeri dello Sviluppo economico e del Lavoro, incaricati di gestire dal febbraio scorso il processo di liquidazione coatta amministrativa del quotidiano, che ha un passivo di un milione di euro. 
«Ma una testata così non può chiudere», avverte Valentino Parlato, 81 anni, uno dei fondatori insieme a Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina. «E infatti il manifesto, malgrado le enormi difficoltà , continuerà  a restare in edicola», promette Norma Rangeri a nome di tutti i suoi 49 giornalisti, che solo ora hanno ricevuto il 50 per cento dello stipendio di marzo. «Siamo animali abbastanza coriacei — dice il direttore — perciò non ci arrendiamo neanche questa volta e il manifesto continuerà  a uscire grazie al sostegno dei nostri lettori» (800 mila euro, il frutto delle sottoscrizioni degli ultimi mesi, ndr). Resistenza, dunque. Pure a costo di occupare la sede del giornale, se servirà .
«Non si può rinunciare a un’esperienza che ha 40 anni di vita, — spiega Benedetto Vecchi, uno dei membri del comitato di redazione —. Con i liquidatori in questi mesi abbiamo avviato una difficile trattativa e per la prossima settimana, giovedì 17, è già  stato fissato un incontro. Ora invece questo fax, inviato anche alla Fnsi e a Cgil, Cisl e Uil, suona come un atto di sfida, come a dire che tutto quello che c’eravamo detti non conta più». 
Dall’inizio della crisi — conferma Vecchi — i giornalisti de il manifesto si erano detti pronti ad affrontare dei sacrifici: «La nostra cooperativa non ha mai licenziato nessuno — ricorda il rappresentante del cdr —. Eppure dal primo giorno di trattative col ministero, viste le difficoltà  economiche attraversate, eravamo consapevoli che alla fine della partita non saremmo rimasti tutti, ma ci sarebbe stata purtroppo la “messa in libertà ” di tanti colleghi (secondo gli accordi, 25 su 49, ndr), accompagnati però dalle garanzie previste dalle leggi 223 e 416 e dal contratto nazionale di lavoro (24 mesi di Cig e l’indennità  di disoccupazione per 18 mesi, ndr). Invece ora, in questo fax, si parla solo di una cassintegrazione di 12 mesi per i lavoratori. Inaccettabile».
Anni di battaglie, di denunce scomode, di cronache che hanno dato voce ai movimenti, di racconti sempre dalla parte degli ultimi e dei senza diritti: tutto questo rischia di scomparire. «Speriamo che anche i cittadini e le forze politiche si facciano sentire — è la speranza di Benedetto Vecchi —. Eppoi non bisogna dimenticare che, quando è cominciata per noi la crisi, sembrava che la legge per l’editoria fosse destinata a essere cancellata, invece con il nuovo governo si riparla di finanziamenti, perciò è giusto intravedere spiragli di soluzione». Il senatore del Pd Vincenzo Vita lancia un appello: «Salviamo il manifesto». E Pancho Pardi, dell’Italia dei Valori, si associa: «Non deve chiudere». «I tagli del governo stanno portando alla chiusura le diverse testate della sinistra — conclude amaro Paolo Ferrero, leader di Rifondazione comunista — prima Liberazione e adesso il manifesto. È ora di pensare a iniziative comuni di mobilitazione».

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