IL MALE DI VIVERE VISTO DA UNA FIGLIA

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C’è voluto tanto tempo prima che Delphine de Vigan riuscisse a pensare a sua madre senza che le si mozzasse il respiro. Tanti anni prima che potesse avvicinarsi all’oceano di dolore che si celava dietro lo sguardo bello e misterioso di Lucile. Anche se è proprio a causa di sua madre che tutto inizia: “L’origine della scrittura si situa lì, lo so confusamente, in quelle poche ore che hanno sconvolto le nostre vite, nei giorni che le hanno precedute e nel periodo d’isolamento che le ha seguite”. È il 31 gennaio del 1980. Delphine ha solo tredici anni. Ma capisce subito che, per lei, l’unico modo per dare “consistenza alle cose” è scrivere.
Diventare scrittrice per uscire dal mondo fatto di menzogne e carta pesta dell’infanzia. Raccontare il mondo per colmare, attraverso l’invenzione, il vuoto che le si spalanca dentro quel giorno, quando Lucile viene ricoverata d’urgenza in un ospedale psichiatrico. Cosa c’era all’origine dell’esistenza fratturata di sua madre? 
Delphine comincia a scrivere senza chiederselo. Almeno fino al gennaio del 2008. Quando entra nell’appartamento di Lucile e la trova distesa sul letto e senza vita. Questa volta non c’è più niente da fare: sua madre si è suicidata. E Delphine capitola. Anche se Lucile continua a rappresentare un “campo troppo disperato e pericoloso”, la figlia non può più far finta di niente e deve raccontare la sua storia. Ecco perché, a differenza degli altri due romanzi della scrittrice francese già  tradotti in italiano – Gli effetti secondari dei sogni e Le ore sotterranee – l’ultimo libro di Delphine de Vigan non è una fiction. Ma non è neppure una semplice autobiografia. Niente si oppone alla notte (Mondadori) è al tempo stesso un’inchiesta e un diario: è un modo per riappacificarsi con la madre e di fare i conti con il proprio passato; un tentativo per capire che, talvolta, non si può fare niente quando una persona decide di andarsene. 
Lucile era bella. Di una bellezza dolce e triste. Perfetta per i ritratti di famiglia e la seduzione degli uomini. Ma forse era anche troppo poco adatta alle finzioni e alle apparenze delle vita borghese. E dopo avercela messa tutta per prendere le distanze dal proprio milieu, ad un certo punto si accascia e crolla, trascinando nel baratro anche le figlie. Perché non aveva mai parlato con loro della propria infanzia? Perché ad un certo punto accusa il padre di averla stuprata e poi, di fronte all’indifferenza generale, nega tutto? 
Ci sono dei dolori che hanno un nome e che si possono facilmente identificare, come la morte accidentale di Antonin, uno dei fratelli di Lucile, o ancora il suicido di Jean-Marc, il bambino adottato dai genitori per colmare il vuoto lasciato dalla morte di Antonin. Ma esistono anche tanti segreti che non potranno mai essere svelati. Talvolta perché i protagonisti non ci sono più. Altre volte perché, a forza di comportarsi “come se” tutto andasse sempre bene, la realtà  lascia il posto alla leggenda. Ecco perché, dopo pagine e pagine di narrazione del passato, Delphine ha bisogno di respirare e di fermarsi. Raccontando le esitazioni e gli incubi notturni, la vicinanza dell’uomo che ama e la paura di non essere all’altezza delle proprie aspettative. Ma il libro della scrittrice francese è anche questo: un intrecciarsi di ricordi e di considerazioni; un misto di forza e di fragilità . 
Con Niente si oppone alla notte, Delphine de Vigan fa un’archeologia del dolore. Scava nel passato. Si rimette in discussione. E ci regala un romanzo commovente e bellissimo. Perché la storia di Lucile non è solo quella di sua madre. È anche e soprattutto la storia di una donna che ha lottato per più di trent’anni contro la sofferenza psichica. E che, nonostante tutto, ha vinto la battaglia. “Lucile è morta a sessantun anni, prima di diventare una vecchia signora. Lucile è morta come desiderava: da viva. Oggi sono in grado di ammirare il suo coraggio”.


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