by Editore | 8 Maggio 2012 8:24
Così dice al manifesto Godwin Uyi Ojo, direttore dell’organizzazione Environmental Rights Action/Friends Of The Earth (Era), attiva nel Delta del Niger: il «Delta dei veleni», come titola uno studio pubblicato dalla Campagna per la riforma della Banca Mondiale (Crbm) e da Altraeconomia, che documenta «gli impatti delle attività dell’Eni e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria». Crbm ha accompagnato stamattina Ojo all’assemblea degli azionisti Eni, a Roma.
«Nel mio paese – dice Uyi Ojo – è in atto una devastazione ecologica di immani proporzioni, specialmente nel Delta del Niger. Questo ha generato violenza e conflitto sociale, sempre più acuto negli anni. È una tragedia, la responsabilità è delle grandi compagnie che inquinano l’acqua, la terra e l’ambiente naturale: in primo luogo Shell, Chevron, ma anche Eni».
Gli ambientalisti denunciano gli effetti del gas flaring, che si diffonde quando nell’estrarre il greggio si brucia il gas in torcia. «Le multinazionali – dice Ojo – preferiscono pagare le multe, ma non vogliono risolvere il problema. Ci sono continue fuoriuscite di petrolio che hanno portato alla rovina le comunità locali: le quali protestano e chiedono un’adeguata compensazione, ma il governo risponde con violenza. Il petrolio viene estratto sotto controllo militare». Per questo «dal ’99 sono sorti dei gruppi armati che hanno abbracciato la nostra causa: se non abbiamo benefici, hanno detto, ci riprendiamo i territori».
Ora il Mend è tornato a farsi sentire. «Da quando sono iniziate le estrazioni – afferma Ojo -, il petrolio ha prodotto 6 miliardi di dollari di royalties ma nessun beneficio tangibile è tornato alle comunità . Il Mend combatte per dare risposte a questi problemi. Nel caos, vi sono però anche alcuni gruppi che hanno preso iniziative individuali. In un contesto di corruzione generalizzata, ognuno lotta per non soccombere. Le compagnie si beffano delle leggi o le aggirano. Sono venuto qui per rendere pubbliche le bugie dell’Eni in complicità con il governo». Un esempio? «Il 3 gennaio di quest’anno c’è stata una fuoriuscita di petrolio nella comunità Ikebiri, nello stato Bayelsa. La legge dice che in questo caso ci dev’essere l’ispezione di un comitato composto da un rappresentante del governo, uno della compagnia e uno delle comunità : per fare una stima del danno. Ma l’Eni ha inviato direttamente una sua relazione sostenendo di aver subito un sabotaggio: perché, in questo caso, non deve pagare». Anche per questo – dice Ojo – «cerchiamo di ottenere sentenze internazionali contro le compagnie. Da noi, nonostante un pronunciamento dell’Alta corte, le emissioni di gas flaring continuano».
Alcune compagnie, come Eni, affermano però che le cose stanno diversamente. Ribatte Ojo: «Alcune hanno cambiato sistema: cominciano a costruire grandi infrastrutture per raccogliere il gas, ma non per i bisogni locali, per esportarlo verso i mercati globali. Anzi, per costruire questi impianti, si accaparrano le terre fertili, che sono già rare. L’alternativa è puntare su un altro modello di sviluppo, sulle nostre terre fertili, sulla via della sovranità nazionale. Ufficialmente si estraggono 2,5 milioni di barili al giorno, ma altre stime dicono che i barili sarebbero 4 milioni e che la differenza finisce in corruzione e traffici illeciti. Quei soldi devono servire al nostro sviluppo».
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