by Editore | 17 Maggio 2012 7:20
Ikea non molla un attimo. E nella cura meticolosa che dedica al suo posizionamento stavolta gioca la carta del welfare innovativo per i dipendenti. La novità è di quelle destinate a far discutere l’opinione pubblica e persino la politica.
Da oggi 17 maggio i trattamenti aziendali riservati ai coniugi degli addetti Ikea Italia, legalmente sposati e alle coppie di fatto etero, saranno estesi anche alle coppie di fatto composte da membri dello stesso sesso. Basterà presentare il certificato di famiglia anagrafica (previsto dal Dpr 223 del 1989), rilasciato obbligatoriamente dagli uffici comunali, in seguito a richiesta di annotazione negli appositi registri (articolo 21) da parte dei diretti interessati.
Quali saranno gli effetti concreti di questa nuova disposizione aziendale? I dipendenti Ikea che convivono more uxorio anche dello stesso sesso potranno ottenere permessi legati a emergenze familiari e lutti del partner, estensione al partner della tutela sanitaria prevista per i dirigenti, congedo matrimoniale, permesso per la nascita di un figlio del partner, buono acquisto di 120 euro riservato a chi si sposa o inizia una convivenza e, infine, estensione al partner dello sconto dipendenti e dell’uso dell’auto aziendale.
Ma al di là dei vantaggi materiali immediati è chiaro che l’iniziativa dell’Ikea si muove in primo luogo nel campo del riconoscimento dei diritti civili e, non a caso, arriva in occasione della giornata internazionale della lotta contro l’omofobia.
La multinazionale svedese è socio fondatore di Parks-Liberi e Uguali, un’associazione di imprese fondata/diretta da Ivan Scalfarotto e che si propone come obiettivo l’inclusione delle persone Glbt, un acronimo un po’ ostico che sta per gay/lesbiche/bisessuali/transgender. Parks opera da più di un anno e conta tra i soci anche altre aziende come Telecom Italia, Johnson&Johnson, Roche, Citi, Lilly, Il Saggiatore, Linklaters, Sixty Group, Gruppo Consoft e Ibm.
Secondo un’indagine che Ikea aveva condotto tra i dipendenti dei punti vendita di Bologna, Roma e Catania il 14% si era definito un Glbt mentre solo una minoranza (il 12%) dichiarava di lavorare con imbarazzo accanto a un collega dichiaratamente gay o lesbica. L’82% di coloro che avevano risposto al questionario pensava anche che la diversità deve diventare una priorità strategica per l’azienda. E per ora la dirigenza Ikea sembra accontentarli.
Gli svedesi, con le loro iniziative e con una comunicazione pubblicitaria anticonformista, si sono infatti collocati alla testa di un piccolo movimento d’opinione che si propone di modernizzare le relazioni sociali dal basso, prima che le istituzioni si decidano e superino le paure di scontentare questa o quella porzione di elettorato.
Del resto un’altra ricerca realizzata addirittura dalla McKinsey recita che nei grandi Paesi occidentali la caccia ai talenti è l’obiettivo numero uno delle aziende e di conseguenza ogni trattamento discriminatorio riferito al credo religioso, all’etnia e all’orientamento sessuale sia ormai considerato definitivamente out, sconsigliabile. Secondo la McKinsey, le imprese con consigli di amministrazione aperti alla diversità hanno persino performance economiche migliori rispetto alle altre. I grandi alleati di gay e lesbiche in azienda sono comunque le donne. Due terzi delle manager intervistate attribuisce una valore implicito al fatto di lavorare in aziende culturalmente aperte alla diversità sessuale, la percentuale invece scende al 45% se a rispondere sono uomini.
Se però usciamo dall’Ovest industrializzato e rivolgiamo l’attenzione ai Paesi emergenti, la modernizzazione delle relazioni in azienda mostra palesemente la corda. Tutte le percentuali di accettazione della diversità scendono nella ricerca McKinsey quando a rispondere al questionario sono manager indiani e cinesi.
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