Il Cairo, battaglia nelle strade: 3 morti i generali impongono il coprifuoco

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IL CAIRO – I carri armati M1-Abrams si schierano lungo la Abbasiya, la grande arteria che dal centro del Cairo porta verso Helipolis, con loro i blindati della polizia antisommossa, i bulldozer che li precedono spazzano via le barricate improvvisate. Il fumo dei terribili gas lacrimogeni aleggia ancora per le strade di questo quartiere, dalle viuzze strette e sabbiose e palazzi fatiscenti che confina con la cittadella militare che ospita il Ministero della Difesa, l’obiettivo della protesta contro la Giunta militare. Per terra un tappeto di bossoli, cocci di bottiglia, i resti degli incendi appiccati quando la protesta è degenerata nel tentativo di forzare il blocco di esercito e polizia. Due i manifestanti morti negli scontri, un soldato rimasto isolato è stato ucciso dalla folla, centocinquanta i feriti ricoverati negli ospedali della zona. Solo tre giorni fa nello stesso quartiere c’erano stati venti morti e oltre cento feriti. 
La tensione in Egitto sale con la velocità  con cui si avvicinano le elezioni presidenziali del 23 e 24 maggio prossimi. Ieri sera i programmi nazionali sono stati interrotti da un comunicato della Giunta militare guidata dal maresciallo Mohammed Tantawi che controlla il paese dopo la caduta di Mubarak lo scorso anno, il generale Mukhtar al-Mulla è comparso in tv per annunciare che il Consiglio supremo delle forze armate ha imposto il coprifuoco nella zona circostante il ministero della Difesa.
La manifestazione “dell’ultimo venerdì” era stata annunciata l’altro ieri dai sostenitori di Hazem Abu Ismail, un noto telepredicatore salafita escluso dalla Commissione elettorale dalla corsa per le presidenziali. Forse il colmo per un candidato dell’Islam estremo essere escluso per la cittadinanza americana della madre e della sorella. Incalzati dalle sue prediche sul canale satellitare “Annas” e dal podio della moschea Assad El Fourat, i suoi sostenitori da mercoledì scorso avevano piantato tende e striscioni nella piazza Abbasiya. Se le eccezioni della Commissione elettorale – dominata da membri designati ai tempi di Mubarak – sono state possibili per far rientrare la candidatura di Ahmed Shafik – l’ultimo primo ministro del raìs prima della sua caduta – questo poteva valere anche per Hazem Abu Ismail. 
Per una volta l’epicentro delle proteste non è stata piazza Tahrir, teatro invece di una manifestazione pacifica di alcune migliaia di sostenitori dei Fratelli musulmani, arrivati da tutto il governatorato del Cairo con i pullman organizzati dalla Fratellanza. Il partito Giustizia e Libertà  conta di portare Mohamed Morsi – il leader del Partito – alla presidenza a fine mese, sognando di bissare il grande successo elettorale delle elezioni legislative che ha dato alla Fratellanza la maggioranza al Parlamento. Morsi, scelto dopo che un primo candidato islamista era stato escluso dalla Commissione elettorale, se la deve vedere con un ex amico e compagno di lotta Abdel Moneim Abdul Fotoh, medico sessantenne, che ha lasciato la Fratellanza – anzi ne è stato espulso – per aver annunciato la sua autocandidatura alle presidenziali senza aspettare una designazione “ufficiale” del partito. Attorno a Fotoh che oggi sfoggia posizioni moderate – ma che ha un passato della Jamaa Islamya fondata Ayman Al Zawahiri – si è creato un notevole e trasversale consenso nonostante il suo programma politico sia abbastanza “variabile”. Ha incassato il sostegno della comunità  copta, quelli di molti laici e anche del mondo giovanile. Svetta fra tutti quello di uno dei ragazzi-simbolo della rivoluzione di Piazza Tahrir, Wael Ghonim, il dirigente di Google finito in cella per le sue critiche al regime di Mubarak molto attivo e con grande seguito fra i giovani. L’unico fra gli altri 11 candidati con qualche speranza di arrivare al ballottaggio di metà  giugno è Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba per dieci anni ma anche ministro degli Esteri di Mubarak negli anni Novanta, che spera di raccogliere il voto “laico” e anche quello degli apparati dello Stato. 
La “coabitazione” potrebbe essere una buona soluzione, vaticina un collega per i corridoi di “Al-Ahram”, il quotidiano più autorevole e letto del Medio Oriente. «Abbiamo un parlamento dominato dagli islamisti che sceglieranno il futuro premier nelle loro fila, un presidente laico “di garanzia” potrebbe salvare l’Egitto da pericolose derive». E alla Giunta militare – impegnata ad assicurare che il passaggio dei poteri avverrà  nelle mani del presidente democraticamente eletto – questo certo non dispiacerebbe.


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