I vulcani di sabbia che mangiano le case “Come lo sciame ha sciolto il sottosuolo”

by Editore | 31 Maggio 2012 9:57

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ROMA – La parabola della casa costruita sulla sabbia è diventata purtroppo realtà . Di sabbia e sedimenti portati dal fiume è infatti formata la Pianura Padana. E i sismologi sanno che durante i terremoti di magnitudo superiore a 5, soprattutto se prolungati, questi terreni sono soggetti al fenomeno della “liquefazione”. Il suolo passa dallo stato solido a quello fluido, perde consistenza, sprofonda e trascina con sé tutto quel che su di esso trovava appoggio: case, fabbriche, capannoni. 
«La liquefazione è responsabile di buona parte dei disastri di questa sequenza di terremoti» conferma Paola Montone, sismologa dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). La sabbia liquefatta non si limita a far perdere di consistenza il terreno. La pressione del sisma la spinge anche verso l’alto e la fa spruzzare fuori dal terreno come da una fontana. I geologi chiamano questo fenomeno “vulcanelli” e molte delle vittime del sisma hanno raccontato la terrificante sensazione di venir catapultati all’improvviso dalla terraferma al mare. Il materiale che risale, nel frattempo, apre in profondità  delle voragini che risucchiano verso il basso il terreno in superficie. 
«Ho visitato delle case pochi giorni prima del sisma» Prosegue Paola Montone. «Erano tutte costruite a dovere. Ma la costruzione più solida del mondo non può nulla se il terreno gli sprofonda sotto ai piedi». Immagini simili erano arrivate anche dal terremoto di Fukushima: edifici paradossalmente intatti ma ribaltati come soldatini di piombo caduti a terra. 
La sabbia della Pianura Padana era già  finita sotto accusa. La sua morbidezza infatti amplifica fino a 7-8 volte la violenza delle onde sismiche rispetto alla roccia compatta. Ma ora che i segni della liquefazione si moltiplicano sulla superficie della zona ferita dal terremoto, per gli ingegneri chiamati a progettare in zone a rischio sismico si apre un nuovo ordine di problemi. «Sapevamo dell’esistenza di questo fenomeno, ma non ci aspettavamo che si presentasse in maniera così estesa» ammette Paride Antolini del Consiglio Nazionale dei Geologi. 
La sabbia, un materiale già  di per sé poco compatto, nella Pianura Padana è anche gonfio dell’umidità  dei fiumi. Quando subisce l’onda d’urto del sisma e passa dallo stato solido a quello fluido, cerca di sfuggire all’enorme pressione salendo in superficie attraverso ogni crepa aperta nel terreno. Oltre a far sprofondare le case, la liquefazione in Emilia Romagna ha fatto slittare strade e ponti, che sono stati chiusi per sicurezza. 
«La scena è molto spaventosa per chi se la trova davanti», racconta Antolini. «Dal terreno inizia a fuoriuscire sabbia mista ad acqua. Ogni crepa del pavimento, i pozzi dei giardini, le fratture del suolo diventano sorgenti da cui zampilla terreno liquefatto». Di questi “vulcanelli” oggi è costellata l’intera area del sisma. Il giorno dopo la scossa, i coni di sabbia si presentano come piccoli cumuli alti poche decine di centimetri, allineati per centinaia di metri lungo le fratture del terreno. In cortili, campi coltivati e stadi di calcio gli effetti dei “vulcanelli” potrebbero essere scambiati per i postumi di un’alluvione. Se non fosse che quella sabbia tanto simile a fango è stata sputata fuori direttamente dalla pancia della Terra. 
Quanto d’altra parte sia fragile e cedevole il suolo dell’Emilia Romagna appare chiaro da un’immagine che Gianluca Valensise apre sullo schermo del suo computer. In una cartina del Nord Italia, il sismologo dell’Ingv mostra tutte le aree che stanno lentamente sprofondando: la metà  orientale della Pianura Padana e l’area attorno a Venezia. «Potrebbero essere fenomeni di tipo tettonico» spiega Valensise. «Ma sospettiamo piuttosto che a far abbassare il livello del suolo sia il peso delle città  e delle costruzioni».

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