by Editore | 31 Maggio 2012 6:35
Alda Merini telefonava ogni giorno. Anche dieci o quindici volte. Raccontava e cominciava a dettare: una scheggia di poesia, un aforisma, una frase limpida e perfetta. Destinata all’amico Alberto Casiraghi, l’editore della Pulcinoelefante che da trent’anni stampa e rilega artigianalmente piccoli e inimitabili libri. E così, di quelle frasi nate per gioco, gliene ha donate 1200. Ognuna è diventata un libro, spesso accompagnato dai colori su titanio di Pietro Pedeferri, parte di un catalogo che oggi conta 8.600 titoli e che viene celebrato da una mostra, nella ex Chiesa in Albis di Russi (Ravenna).
Il curatore Gianni Zauli ha allestito un’esposizione in cui i librini di Casiraghi dialogano con volumi in ferro battuto di Claudio Ballestracci, un riferimento all’ossimoro che dà il nome alla casa editrice, quel pulcinoelefante, che Marino Sinibaldi, direttore di Radio3, legge come un’implicita critica della via di mezzo: «In effetti bisogna essere o pulcino o elefante, o farsi piccoli e passare attraverso le maglie del mondo o essere grandi e farsi sentire dal mondo». La casa editrice di Casiraghi è entrambe le cose. Piccola, anzi piccolissima, perché i suoi volumi non superano mai le otto pagine, contate a partire dal frontespizio, non costano più di dieci euro e sono stampati in una trentina di copie: caratteri mobili su carta pregiata, rilegatura a mano, disegni originali, piccole sculture, incisioni e fotogrammi. È però anche una grande casa editrice perché in questi trent’anni ha raccolto la voce di Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Tonino Guerra, Fernanda Pivano, Cesare Zavattini, Mario Luzi, oltre a quella dell’amica Alda Merini, conosciuta attraverso Vanni Scheiwiller, l’editore milanese che con i suoi micro-libri aveva recuperato poeti dimenticati, da Sbarbaro a Rebora.
«Il mio primo pulcino l’ho stampato nell’82, era l’aforisma di un anziano amico – spiega Casiraghi – che mi aveva colpito in un pomeriggio ventoso. Volevo fare qualcosa di poetico partendo dal mio mestiere, tipografo». Casiraghi, ancora ragazzo, era stato assunto alla Same di Milano dove si stampavano alcuni tra i più importanti quotidiani. Indro Montanelli lo chiamava per comporre i titoli della prima pagina. Era bravo già allora. «I caratteri mobili hanno un potere unico: se una frase è bella la rendono ancora più bella, ma se è brutta allora rischiano di farla diventare orribile. Non è la tecnica che fa la bellezza». Ci vuole qualcosa di più, “il gioco dell’arte”, come lo chiamava Munari, artista ben conosciuto da Casiraghi che più volte ha stampato libri con suoi disegni. E non solo… «Una volta, durante un pranzo, mi disse: questi sono torroni impossibili! Erano così duri che sembravano pietre». Insieme stamparono un “pulcino” con dentro un martello, una provocazione che giocava di rimando con i famosissimi “libri illeggibili”. E che ben si sposa con il titolo di cui lo insignì Enrico Baj: “Reggente della cattedra di Pulcinoelefantologia della Patafisica”.
La scienza delle soluzioni immaginarie praticata per intuito da Casiraghi quando nell’82 stampò il primo “pulcino” e coltivata fino alle ottomila formiche disegnate in 44 copie da Emilio Isgrò per festeggiare gli altrettanto numerosi titoli della Pulcinoelefante. Ma non è tutto qua: «Non lavoro solo con autori importanti, dando corpo a pensieri di bambini e persone sconosciute». Compresi i detenuti del carcere di San Vittore «che hanno trovato nelle parole la libertà perduta».
Gli autori spesso trascorrono una giornata nella sua casa-laboratorio di Osnago dove troneggia l’Audax Nebiolo, tornio di stampa a piombo strappato alla rottamazione. L’atmosfera è conviviale, anche se l’ospite è un totem della critica: «Gillo Dorfles è passato un mese fa e si è fermato per una intera giornata». Cattelan è stato ospite per una notte: «Era ancora un ragazzo». I classici sono stati portati da altri: «Sebastiano Vassalli mi suggerì Campana, Pasolini l’ho fatto su richiesta di un suo amico, che un giorno di tanti anni fa bussò alla mia porta perché voleva rendergli omaggio». E così Kafka, Pound e Beckett. Anche le loro impronte vivono nella carta di Alberto Casiraghi, poeta, violinista, liutaio, disegnatore, patafisico, cocciuto difensore dell’arte tipografica o più semplicemente «un pulcino che ha salvato le parole di grandi elefanti», come diceva di lui Alda Merini.
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