by Editore | 5 Maggio 2012 14:40
Attraverso i suoi portavoce – le agenzie di rating – il Mercato promuove o declassa pubblicamente i governi democratici. Non era mai successo in modo così aperto e clamoroso. Ieri la Grecia oggi la Spagna e la Francia (quest’ultima alla vigilia delle elezioni). L’Italia aveva già subìto sentenze analoghe nelle settimane precedenti.
È ragionevole chiedersi se queste successive bocciature non siano le avvisaglie di un’offensiva più generale dei “mercati” che non sono entità metafisiche ma grandi concentrazioni di potere: quattro grandi banche americane detengono il 94% dei derivati emessi negli Stati Uniti. Altrettanti colpi miranti alla disgregazione dell’Unione Europea. In tal caso, quale consapevolezza ne ha l’Unione stessa, e la Germania anzitutto? E quale strategia sta seguendo per scongiurarne il successo? Purtroppo, c’è da dire che finora ha fatto il possibile per favorirlo. La politica di austerità che essa ha imposto all’Unione è il mezzo più diretto per giungere al suo scioglimento, attraverso una recessione che acuisce la contrapposizione tra Paesi forti e Paesi deboli. È evidente l’assurdità di una politica che alla contrazione della domanda privata dipendente dalla crisi sovrappone una contrazione della domanda pubblica. È altrettanto evidente che lo squilibrio tra il numeratore (la finanza pubblica) e il denominatore (il prodotto reale) si debba colmare promuovendo il secondo e non contraendo il primo. Sembra ora che queste ovvietà si siano aperte un varco nella filosofia tedesca. Ma fino a che punto?
Il punto è semplice. Le risorse destinate alla crescita dovrebbero essere sottratte al vincolo stringente del fiscal compact (un ricordo personale: come deputati europei Andrea Manzella ed io proponemmo esattamente questo: il varo di un piano di investimenti europei sottratto alle strozzature del patto di stabilità ). Un pericolo grave è che nella opinione dei Paesi europei si faccia strada l’alternativa dell’autoscioglimento dell’Unione: tornare al franco, al marco, alla lira. Persino un economista del rango di Krugman si fa tentare da quest’idea. Krugman insieme a Grillo? Sembra pazzesco: sostituire l’Unione con la competizione selvaggia tra Paesi europei a mezzo di protezionismi e di svalutazioni aggressive?
L’alternativa vera, come al solito, è politicamente la più difficile. E’ quella di tornare al grande disegno che aveva ispirato Jacques Delors, affiancato dal nostro Padoa Schioppa, nella proposta da lui sostenuta a Maastricht e improvvidamente rifiutata dalla coppia franco-tedesca: quella di associare all’unione monetaria una unione fiscale, impedendo di cadere nel vuoto di una moneta senza base politica, un monstrum mai visto nella storia. Come agire di fronte alla prospettiva incombente della recessione?
Il rischio di “stampare moneta” per quel tanto necessario a ravvivare l’economia, è di gran lunga minore di quello che si corre essiccandone il flusso. Al nuovo Presidente francese si offrirà una occasione storica per evitare all’Europa il rischio di una recessione economicamente disastrosa e politicamente paurosa. Un rischio della portata di quello che travolse il Continente negli anni Trenta, quando la disoccupazione dilagante travolse la democrazia. La storia, si dice, non si ripete. Sarà . Sta di fatto che dopo la prima guerra mondiale, che fece diciassette milioni di morti, ne venne una seconda, che ne contò settantuno. Bisognerebbe evitarne una terza.
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