I mafiosi sono assassini spietati, ma idioti no

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Si può tentare, alla luce della «memoria storica», di capire se l’attentato di Brindisi possa corrispondere, in qualche modo, alle modalità  che la mafia, intesa come struttura organizzata con una sua cupola – nella quale siedono mafiosi, politici, pezzi dei servizi segreti, lobbies occulte – che ne determina le strategie, ha utilizzato nel passato. La strategia del «terrorismo mafioso» nasce in un determinato periodo storico e procede secondo modalità  precise e perseguendo obiettivi che sono stati svelati da un ventennio di indagini. Il periodo in cui si dispiega il «terrorismo mafioso» è quello del biennio 1992/1993. Un periodo nel quale Cosa Nostra, a partire dall’assassinio di Salvo Lima, nel marzo del 1992, abbandona i vecchi e ormai inutili referenti politici non più in grado di garantirle aggiustamenti di processi e quei legami necessari allo sviluppo dei propri affari. In verità  , nell’indifferenza del sistema politico, Cosa Nostra aveva già  sperimentato una strategia di natura «terroristica» negli anni ’80, decapitando tutti i vertici istituzionali siciliani, assassinando politici, magistrati, investigatori. Nel biennio ’92/93 questa strategia realizza un vero e proprio salto di qualità  . Uccide Salvo Lima, il politico che rappresentava l’anello di congiunzione con le istituzioni, perché non riesce a «neutralizzare» l’azione di una magistratura che, per l’impulso di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e di tutto il pool antimafia di Palermo, ha messo sotto accusa e fatto condannare tutto il gotha mafioso. Poi, visto che non ottiene quel che voleva, Cosa Nostra uccide i magistrati-simbolo. Il messaggio è chiaro: se si vuole spezzare il legame che stringe mafia e politica si andrà  incontro a conseguenze pesantissime. Le modalità  terroristiche scelte per gli attentati di Capaci e via d’Damelio hanno un significato simbolico ben preciso: noi siamo in grado di eliminare chiunque si frapponga ai nostri disegni di potere e ai nostri affari. Poi, gli attentati del 1993 servono a fare «pressione» su un sistema politico in disfacimento per una trattativa tra lo stato e la mafia che Borsellino intuisce e che gli costerà  la vita. Anche in questo caso le modalità  sono spettacolari sia per gli obiettivi scelti, simboli religiosi, monumenti, che per gli «strumenti» usati, il tritolo dalla spaventosa potenza distruttiva. Nulla di tutto questo si riscontra nell’attentato di Brindisi. Gli strumenti utilizzati non richiedono una particolare potenza organizzativa, e l’obiettivo prescelto non ha alcun preciso valore «simbolico», a parte l’intitolazione della scuola alla moglie di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e il fatto che la carovana antimafia avrebbe fatto sosta proprio ieri a Brindisi. Si dice, oggi come allora, siamo in un passaggio politico delicato, di «transizione». Ma l’analogia sembra davvero fragile: la mafia non ha mai dispiegato la sua potenza distruttiva solo per «inserirsi» in un momento politico. L’ha fatto perché pensava che il terrore avrebbe potuto produrre risultati concreti, a cominciare dall’abbandono della strategia di contrasto voluta da Falcone e Borsellino che aveva anche messo la mafia sotto i riflettori. Oggi quale sarebbe la «ratio» mafiosa dell’attentato? L’attenzione del sistema politico nei confronti della mafia è pari a zero. Per Berlusconi gli eroi non sono Falcone e Borsellino, ma il mafioso Mangano; Monti la parola mafia neppure l’ha mai neppure pronunciata. Nel frattempo, seppelliti da anni di carcere i vecchi boss stragisti, la nuova mafia continua a lavorare nell’ombra, inabissata nella più larga economia del malaffare e della corruzione. Se avessero deciso di riattivare la strategia stragista oggi sarebbero dei perfetti idioti. E se c’è una cosa che abbiamo imparato è che i mafiosi sono spietati. Idioti, no.


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