I Grandi Ostaggio del Calendario Elettorale

by Editore | 19 Maggio 2012 19:10

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Non era mai accaduto che il G8, nato per coordinare ma anche per celebrare le grandi democrazie dell’Occidente, si trovasse a gestire la minaccia di una rotta di collisione tra risanamento economico e elezioni che della democrazia sono il momento più alto. Il vertice in corso da ieri a Camp David riunisce al capezzale della crisi dirigenti che nelle loro diverse posizioni e prospettive devono comunque fare i conti con elezioni recenti o già  in calendario, ed è soltanto formale l’assenza della Grecia che dopo la consultazione popolare del 17 giugno potrebbe mettere a dura prova la salvaguardia di cruciali interessi comuni. Al G8 e anche al successivo vertice Nato di Chicago, diceva ieri un diplomatico americano di alto rango, il simbolo giusto al posto di quelli tradizionali sarebbe stato una grande urna elettorale cosparsa di bandierine nazionali.
Determinanti ancor più del solito sono le esigenze del padrone di casa Barack Obama. Al G8, nella parte economica che stamane Mario Monti presiederà , il capo della Casa Bianca si schiererà  fermamente a sostegno dell’adozione di misure per la crescita in accordo con lo stesso Monti, con il neo-eletto Hollande e con Cameron. Ormai nella vicenda dell’euro non esistono più «osservatori esterni». Cameron teme un contagio ulteriore oltre la Manica, e Obama paventa che il medesimo contagio possa attraversare l’Atlantico prima delle elezioni di novembre dando un colpo di maglio alla fragile ripresa americana. Del resto quando Obama critica i ritardi europei (e lo fa, forse dimenticando troppo presto le responsabilità  di Wall Street), risulta chiaro a tutti che i suoi malumori sono diretti soprattutto a Berlino e alla linea rigorista di Angela Merkel. Ma Obama ha anche una diversa esigenza: il vertice di Camp David e quello di Chicago devono essere due successi da «vendere» all’elettorato, il Presidente Usa deve essere o apparire in grado di ricompattare e guidare l’Occidente. Molte cose, dunque, saranno diluite nei due comunicati finali. Rigore e crescita convivranno come è giusto che sia, e la Nato apparirà  compatta nel suo piano per far tornare a casa i soldati dall’Afghanistan senza perdere né la guerra né la faccia.
Attorno all’agenda del presidente americano si muoveranno tutti gli altri protagonisti, ma anche loro avranno le urne nella valigia. Franà§ois Hollande perché ne è appena uscito vincitore, e a Camp David come a Chicago dovrà  tener duro tanto sui provvedimenti significativi per la crescita (altrimenti la ratifica del fiscal compact è in forse) quanto sull’anticipo a fine anno del ritiro delle forze combattenti francesi dall’Afghanistan. Alla prima richiesta è pronto un «sì» che sarà  poi oggetto di verifica negli imminenti vertici europei, alla seconda andrà  la «comprensione» degli alleati in cambio di impegni «non combattenti». Attorno al nuovo capo dell’Eliseo, in altre parole, sarà  tentata una intensa operazione di rinvio o di smussamento dei problemi.
E non diversamente si poteva fare, non soltanto per le convenienze di Obama ma anche perché Angela Merkel è anch’essa in mal d’elezioni. Dopo la batosta nel Nordreno-Westfalia, ieri per la prima volta un sondaggio ha dato la Cancelliera battuta a livello nazionale dalla nuova rivale Hannelore Kraft. Forse si tratta di un umore passeggero, ma la Merkel deve comunque con una mano difendere la coerenza della sua linea del rigore (la cui necessità  del resto nessuno contesta) e con l’altra non perdere il contatto con Obama, con la Francia di Hollande, con l’Italia di Monti. Compromessi che nasceranno in Europa più che a Camp David, ma che in terra americana devono almeno prefigurare una risposta globale alla crisi e al bisogno collettivo di crescita. Chissà , con un pò di coraggio si potrebbe anche trasformare le elezioni greche del 17 giugno in un referendum, sì o no all’Europa visto che non si può uscire soltanto dall’euro. I greci allora potrebbero «votare bene», ma serve che anche Berlino offra o prometta qualche incentivo. La Merkel se lo sentirà  ripetere spesso.
A Camp David, insomma, non ci saranno segreti tra i partecipanti ma ce ne saranno molti nei documenti finali che non possono dimenticare di parlare ai mercati. I segnali dovranno essere positivi, improntati alla fiducia. Elezioni fatte e da fare resteranno dietro al paravento. Ma nessuno ignora che in realtà  saranno proprio loro le protagoniste assolute di questa inedita doppia verifica dello stato dell’Occidente. E sarà  la capacità  di parlare ai popoli occidentali l’unica via per evitare tristi verdetti.

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