by Editore | 13 Maggio 2012 13:25
La vittoria di Hollande non ha messo a tacere i falchi del rigore, anzi. Alla vigilia dell’incontro tra il nuovo presidente francese e la cancelliera Merkel, il capo della Bundesbank, la banca di stato tedesca, ha preso rumorosamente la parola per stabilire i paletti che l’ortodossia monetarista “made in Germany” non vuole mettere in discussione.Jens Weidmann, per anni consigliere economico della Merkel e che era stato chiamato a guidare la Bundesbank in sostituzione di Axel Weber, giudicato dalla stessa cancelleria troppo radicale, in una lunga intervista alla Suddeutsche Zeitung respinge, una dopo l’altra tutte le proposte che erano state avanzate da Hollande in campagna elettorale. Ma il suo intervento, più che al presidente francese, sembra diretto proprio alla cancelliera, nel timore che la Merkel possa fare troppe concessioni al suo nuovo partner d’oltre Reno.
Il suo primo “no” è diretto alla richiesta di allargare le competenze della Bce per consentirle di stimolare l’economia. «So bene che adesso la parola d’ordine è: crescita – dice Weidmann nell’intervista – Ma ognuno interpreta in modo diverso questo termine. La creazione di posti di lavoro e di crescita economica è il risultato degli scambi commerciali. La Banca centrale europea, invece, è preposta a salvaguardare la stabilità della moneta. Una modifica del suo statuto sarebbe pericolosa. Tutte le esperienze dimostrano che un forte indebitamento ostacola la crescita».
Non solo la Bundesbank si oppone ad attribuire alla Bce compiti statutari diversi da quelli previsti finora, come chiedono i francesi, ma è anche fermamente contraria all’ipotesi, circolata nelle ultime settimane, di “scaldare” un po’ l’economia tedesca, aumentando i salari e facendo crescere la domanda interna in modo da fare da volano per la ripresa dei partner europei. Una ipotesi, quest’ultima, che sembrava aver trovato un certo ascolto da parte di Angela Merkel alle prese con difficili scadenze elettorali sul piano interno.
«E’ una strada pericolosa – dice Weidmann – Noi no dovremmo ripetere gli errori degli anni Settanta. L’inflazione è socialmente ingiusta e non permette di uscire dalla crisi». E, poiché il controllo dell’inflazione è una delle responsabilità del sistema delle banche centrali, Weidmann stronca l’ipotesi sul nascere: «Se il consiglio dei governatori della Banca centrale europea veglia a che l’inflazione in Europa non superi il due per cento annuo, allora in Germania l’inflazione non supererà quella soglia. I nostri concittadini possono avere fiducia nella sorveglianza della Bundesbank».
Quanto alle richieste di Hollande di una revisione del “Fiscal compact”, il presidente della Bundebank è perentorio: «È chiaro che dobbiamo respingere le proposte elettoralistiche di smontare il Trattato di bilancio».
I fulmini dei “falchi” rigoristi non risparmiano la Grecia, dove la vittoria dei partiti ostili agli accordi di rigore fatti con l’Europa per ottenere il prestito del fondo salva stati, rendono ardua la formazione di un governo. Il messaggio che manda Weidmann è ancora più duro di quello formulato dai politici tedeschi: «Mi sembra semplicistico pensare che i problemi della Grecia si possano risolvere uscendo dall’euro. Le conseguenze di una simile scelta sarebbero molto più gravi per quel Paese che per il resto della zona euro. Comunque, se Atene decide di non mantenere la parola data, si tratterà di una scelta democratica il cui risultato sarà la fine degli aiuti finanziari: anche i governi donatori devono giustificarsi davanti ai propri elettori».
In parte la durezza inflessibile dimostrata dai tedeschi nei confronti di Atene si spiega con il desiderio, comune a tutti i governi dell’eurozona, di far capire agli elettori greci che il mancato rispetto degli impegni e la conseguenza bancarotta con uscita dall’euro comporterebbe per la gente sacrifici ancora più duri di quelli patteggiati con Bruxelles. Ma in parte la questione si sta tingendo di significati politici e finisce per rientrare nel braccio di ferro tra “falchi” e “colombe”.
Così, se il commissario agli affari economici Olli Rehn insiste che «la palla ormai è nel campo dei politici greci», ieri il presidente dimissionario dell’eurogruppo, Juncker, ha cercato di spezzare una lancia in favore di un minimo di flessibilità . «Non avrei problemi a dare alla Grecia un anno di tempo in più. Per me l’uscita di Atene dall’eurozona non è un’opzione ragionevole». Ma, per ora, questo veterano delle battaglie europee, sempre più insofferente verso i diktat di Berlino, pare il solo a non voler voltare le spalle ad Atene
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