by Editore | 8 Maggio 2012 8:32
GENOVA – Ci vorrebbe una chiamata a un quotidiano. Ci vorrebbe un volantino dentro una cabina telefonica. Ci vorrebbe una rivendicazione, per riportare definitivamente indietro l’orologio del tempo. E dare un senso compiuto a questa gambizzazione, che poco dopo le otto di ieri mattina ha fatto ripiombare Genova negli incubi brigatisti di quarant’anni fa. Roberto Adinolfi, 59 anni, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, è stato raggiunto da un colpo di pistola ad una gamba. Lui non conosce il perché dell’attentato, gli investigatori sì. «Chiara matrice terroristica», è la risposta secca. Il funzionario – dicono – è uno uomo dalla vita privata esemplare. Ma è anche un bersaglio perfetto: lavora per un’azienda che fa parte di un gruppo (Ansaldo Energia) di proprietà di Finmeccanica, che tra privatizzazioni e svendite avrebbe mille motivi per essere presa di mira da gruppi eversivi. Si occupa per l’estero di nucleare. È a suo modo un simbolo, però non rientra ufficialmente nelle liste dei soggetti “sensibili” guardati a vista dalle forze dell’ordine. Non basta ancora? Ieri a Genova, che quarant’anni fa tenne a battesimo i primi laboratori Br proprio con i ferimenti di alcuni dirigenti dell’Ansaldo, era giorno di elezioni amministrative. L’agguato era stato preparato nei minimi particolari da un paio di mesi. Insomma: una manciata di minuti dopo lo sparo, i servizi segreti erano già in allerta. Ma ventiquattr’ore dopo manca una telefonata, un volantino, per cancellare gli ultimi dubbi.
Lo aspettavano sotto casa, seduti su uno scooter davanti al civico 14 di via Montello, strada elegante e riservata tra i quartieri di Castelletto e Marassi. «Mi sono chiuso il portone alle spalle. E me li sono trovati di fronte», ricorda Adinolfi. «Il motore spento, i caschi integrali. Forse hanno detto qualcosa. Io non ci ho fatto caso, ho tirato dritto. Paura? Mai ricevuto minacce in vita mia». Adinolfi fa pochi passi, giacca e cravatta, ventiquattr’ore nella destra. Sta per mettere mano alle chiavi dell’auto, posteggiata la sera prima. Uno gli è alle spalle, quasi gli appoggia la canna della rivoltella – una Tokarev calibro 7,62 – all’altezza del ginocchio. Preme il grilletto. Una volta sola. Il proiettile trapassa il polpaccio, scheggia la tibia e si conficca sull’asfalto. Lo sparatore sale sul motorino guidato dal complice e fugge via. Il funzionario urla per il dolore, chiede aiuto. Si sfila la cintura dei pantaloni e la lega intorno alla gamba, per fermare l’emorragia. Lo soccorrono due passanti, poi uno dei figli che telefona ad un amico di famiglia, Federico Santolini, direttore di ortopedia e traumatologia d’urgenza al San Martino. Qualche minuto più tardi è in ospedale. Viene operato dal medico-amico, guarirà in un mese e mezzo. Nel pomeriggio riceve la visita del pm Silvio Franz, lo stesso che aveva indagato sulla morte di Carlo Giuliani durante il G8. Un breve colloquio nel corso del quale il dirigente conferma di non avere mai ricevuto minacce in passato. E di non avere visto il volto degli aggressori. Ha preso nota mentalmente di alcuni numeri di targa dello scooter, che però nel frattempo è già stato rintracciato, abbandonato in pieno centro, a cinque minuti dal luogo dell’agguato. Era stato rubato a febbraio e poi messo al sicuro probabilmente in un garage, segno che l’aggressione era preparata da tempo. I militari del Ris di Parma sono a caccia di qualche impronta. La pistola usata ha una caratteristica precisa: non si inceppa mai. Un bersaglio indifeso, il posto giusto e il giorno perfetto per un attentato. Dirigenti e operai Ansaldo giurano di essere pronti a scendere in piazza. Subito. Sarà sciopero, quando l’ipotesi terrorismo verrà confermata. Quando arriverà la rivendicazione. Quando Genova tornerà a fare i conti con gli incubi del suo passato.
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