Fiat, Irisbus e Magneti Marelli gli operai campani in alto mare

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La cura Marchionne rischia di ammazzare la Campania. Due giorni fa in Regione si è tenuto un incontro tra l’assessore allo Sviluppo, Severino Nappi, l’assessore comunale Marco Esposito, Fim, Uilm, Fismic e la Magneti Marelli. Fuori la Fiom, non gradita dall’azienda che controlla al 100% la Pcma di Napoli. Lo stabilimento di via De Roberto, ex Ergom, produce componenti per l ‘automotive (plance, consolle, paraurti e sistemi di alimentazione), unico committente la Fiat di Pomigliano d’Arco. La trasformazione del Giambattista Vico in Fabbrica Italia Pomigliano si è abbattuta sui 1.080 dipendenti: l’accordo prevedeva l’internalizzazione di metà  di loro, la riconversione per gli altri. Ma dei 500 previsti sono stati assorbiti circa 200, gli altri sono in cassa integrazione straordinaria. Pochi fortunati, e sempre gli stessi, lavorano 4 giorni al mese. La Regione ha messo sul tavolo due progetti: il primo prevede l’investimento di 75 milioni per innovazione, ricerca e formazione; il secondo, in collaborazione con Lazio e Veneto (la Campania capofila), prevede un impegno di ulteriori 10 milioni, fermo però al ministero del Lavoro. Dalla Magneti Marelli nessun cenno d’interesse: «Non diamo garanzie», la risposta. Del milione di euro previsti per la ristrutturazione, 750 mila sono stati già  spesi in lavori di tinteggiatura, rinnovo pavimenti, caldaie e bagni. Niente per la formazione, nonostante gli operai assicurino di avere strumenti e capacità  per produrre qualsiasi bene richiesto dal mercato. La prospettiva è un altro anno di cig e poi la chiusura. «La verità  è che la nuova Panda va male – spiega Andrea Amendola, segretario Fiom Napoli – Si lavora su due turni per produrre 600 vetture al giorno che il mercato non assorbe. Così servono meno della metà  dei lavoratori previsti per produrre all’interno della Fip paraurti e plance, i serbatoi vengono da Cassino, le sospensioni da fuori. Per l’ex Ergom non c’è lavoro». Lo stabilimento napoletano produceva componenti anche per la Ypsilon che si faceva a Termini Imerese e per l’Alfa 159 che non si fa più. Quello che resta è la Panda: «All’utilitaria – prosegue Amendola – lavorano in 2.138, oltre il doppio è ancora a casa. Di solito dopo il lancio di un modello passano 2 anni prima che si proceda con le altre versioni, invece stanno già  avviando i modelli gpl, metano e 4×4. Raschiano il fondo del barile. Il governo non fa nulla perché ha paura di convocare Marchionne». L’ad potrebbe puntare alla chiusura anche di Pomigliano e della Fma di Pratola Serra: 2mila operai addetti alla realizzazione dei motori per la Fiat. A Pratola Serra il Lingotto chiederà  da giugno la cig per ristrutturazione: un piccolo investimento per avviare la produzione di motori 1.800 turbo e benzina per gli Usa. «Avviare propulsori potenti quando il mercato è in crisi – spiega Sergio Scarpa, segretario provinciale Fiom – significa non dare un futuro allo stabilimento, è solo un modo per tirare avanti un altro anno. Volevamo i motori della Panda, visto che è ad appena 30 chilometri, invece li fanno in Polonia. Sono 5 anni che la Fma va avanti a cig. Una storia già  vista con la Irisbus di Flumeri». Cioè con l’unico stabilimento italiano in cui si producevano autobus, proprietà  Fiat, anche questo nell’avellinese, chiuso a novembre scorso. Circa 700 lavoratori, di cui 197 finiti nella terra di nessuno degli esodati, per cui sembrava profilarsi il passaggio all’Amsia, azienda del colosso cinese Dfm, invece sono tutti a spasso. «Prima o poi – conclude Scarpa – per evitare la pesantissima multa europea, il governo dovrà  varare un piano per il trasporto pubblico, la Fiat non si metterà  mai in casa un concorrente».


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