Effetto domino tra le faglie sotto la Pianura Padana c’è una bomba ad orologeria

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ROMA – Sopra è una pianura soffice, riempita dai sedimenti del Po e levigata dal passaggio millenario del fiume. Ma basta andare una manciata di chilometri in profondità  per trovare una delle strutture geologiche più aggrovigliate che la Terra conosca. Un domino di faglie che si dividono e si ricongiungono. Un incastro di frammenti di roccia dura che si accavallano e cambiano continuamente pendenza. Siamo su un “fronte di guerra”, a sud del quale preme la grande zolla dell’Africa, con l’Europa che a nord oppone tutta la sua resistenza. In mezzo, stretta come in una tenaglia, c’è la Pianura Padana. Tanto placida sopra, quanto tormentata sotto. 
La pressione dell’Africa sull’Europa è diretta verso nord-nordest e fa corrugare la roccia degli Appennini contro la Pianura Padana, come quando spingiamo un tappeto verso una parete. «La linea di faglia corre tra est e ovest in maniera irregolare, suddivisa in tanti pezzetti e pezzettini» – spiega Gianluca Valensise, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). «Come in un domino, la rottura di un frammento può innescare una tensione nel frammento che si trova accanto. Sarà  sufficiente questa tensione a scatenare un’altra scossa, e quando? Questo non lo sappiamo mai in anticipo. Quel che possiamo dire è che un fenomeno sismico su una faglia a volte innesca sulla faglia vicina un conto alla rovescia che può durare giorni, anni, magari millenni. Prima o poi però l’orologio arriva all’ora zero». 
L’ora zero per la Pianura Padana è scattata già  due volte – il 20 e il 29 maggio – con due serie di scosse che hanno ripetutamente superato la magnitudo 5. E che un altro orologio si sia messo a ticchettare per effetto del sisma di ieri non è affatto escluso. Anzi. «Ci sono varie ragioni per dire che quella zona della Pianura era e resta attiva» spiega Carlo Doglioni, sismologo dell’università  La Sapienza di Roma. «Oltre alle conoscenze del sottosuolo che abbiamo grazie ai profili sismici, dove è possibile riconoscere le principali faglie, con il Gps è possibile seguire lo spostamento del terreno sia a nord che a sud della linea di faglia. Da tempo ci eravamo accorti che tra Bologna e Padova gli spostamenti avvenivano in alcune zone a un ritmo più lento e in altre a un ritmo più rapido. Segno che delle tensioni si stavano accumulando. Questa discrepanza è stata registrata nelle zone che effettivamente sono state colpite dal sisma. E nelle Alpi venete qualcosa di simile è stato osservato lungo altre faglie».
Se l’estremità  orientale del “fronte di guerra” ora inquieta i geologi, quella occidentale non li lascia tranquilli. «Il grande terremoto di Ferrara del 1570 ha scaricato buona parte dell’energia accumulata nel sottosuolo» spiega Valensise. «E sappiamo che ci vuole circa un millennio perché la tensione si ricarichi. Anche se allora lo sciame durò alcuni anni e non è escluso che accada altrettanto oggi, non ci aspettiamo altri episodi di particolare violenza. Nell’estremità  ovest della faglia invece non abbiamo registrato grandi terremoti in tempi recenti. L’energia da quel lato è probabilmente ancora intatta. E tra il 20 e il 29 maggio gli epicentri hanno effettivamente camminato verso ovest». 
Una zona corrugata e tormentata, che non lascerà  riposare i sismografi ancora per un po’. Ma la Pianura Padana, secondo i geologi, non ha le potenzialità  per un terremoto di magnitudo ancora più alte, e resta escluso il collegamento con il contemporaneo sciame del Pollino. «Nelle mappe del rischio sismico – spiega Alberto Marcellini, dirigente di ricerca al Cnr e professore di sismologia alla Statale di Milano – quest’area è classificata come “medio-bassa”. Probabilmente il dato è sottostimato e dovrà  essere aggiornato. Ma a differenza di altre zone dell’Italia, nella Pianura Padana i terremoti molto violenti sono estremamente improbabili».
Anche se le mappe del rischio sismico questa volta non hanno colto la pericolosità  della regione padana, le analisi geologiche che hanno cercato di sbrogliare la matasse delle faglie e degli anticlinali non sono mancate in passato. Sottosuoli così complessi infatti possono nascondere idrocarburi fra le pieghe degli anticlinali, e dalla fine della seconda guerra mondiale l’Eni lavorò molto per “fare l’ecografia” alla pancia della Pianura. Il risultato sono mappe del sottosuolo utili ancora oggi, ottenute con il sistema della “sismica a riflessione”: una carica esplosiva fatta brillare mentre una rete di sismografi registrano come l’energia rimbalza dalle profondità . 
I geologi insomma sanno bene che l’alveo del Po è un cliente difficile. «Già  il 20 maggio avevamo avvertito della possibilità  di scosse altrettanto violente», spiega Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Ingv. «I sismi allora erano localizzati su un asse lungo quasi 40 chilometri: davvero troppo per una magnitudo 5,9. Era il segno che altre faglie erano state probabilmente attivate da quella prima ondata di scosse. Un simile andamento a domino si era registrato in Umbria e nelle Marche nel 1997. Anche il terremoto di Ferrara del 1570 è stato seguito da altri due sismi importanti nel 1572 e nel 1574. Paradossalmente, è molto più facile studiare i cicli sismici di una faglia matura e omogenea come quella di San Andreas che non di quella appenninica». Mezzo millennio fa lo sciame sismico durò effettivamente diversi anni, anche per colpa dell’andamento complesso del sottosuolo della zona. «Molti ricercatori hanno snobbato la Pianura Padana considerandola più noiosa di un paesaggio dolomitico» spiega Valensise. «Ora invece ci siamo accorti che abbiamo bisogno di una nuova stagione di studi».


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Sono un professore ordinario di protezione delle radiazioni al Politecnico di Torino, ed insieme al collega Massimo Coraddu di Cagliari siamo da due anni consulenti del comune di Niscemi per il problema del Muos. La nostra prima Relazione, prodotta nel 2011, ha messo in evidenza le gravi mancanze della precedente procedura autorizzativa rilasciata dalla giunta Lombardo, ed ha convinto la Regione Siciliana a revocare quelle autorizzazioni lo scorso marzo.

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