Ecco i ragazzi che inventano il futuro

by Editore | 24 Maggio 2012 6:08

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L’auditorium del centro congressi di Pittsburgh ribolliva di sudori, gridolini, eccitazione allo stato puro. Millecinquecento ragazzini di tutto il mondo, compresi cinque italiani, nel giorno più bello della loro vita. È partita la musica a palla, una roba che faceva solo bum-bum-bum, e da un lato è entrato un giovane presentatore di colore che ha iniziato a dire cose come “dammi il cinque fratello! E voi altri, siete caldi?”. Se non fosse stato per i pantaloni chiari con la riga perfettamente stirata e la camicia bianca di lino pregiato, lo avresti scambiato per uno dei tanti rapper di strada all’inizio del solito concerto. Ma in realtà  era il presentatore della convention, infatti ha subito chiamato sul palco l’ospite d’onore: tal Brian David Johnson. Anche lui giovane, gasato e pelato a lucido. «È il futurista di Intel!» ha detto il simil-rapper citando la supercorporation dei processori che stanno in tutti i nostri pc o quasi. E l’altro lo ha subito stoppato. Ha atteso che si facesse silenzio, ovvero che miracolosamente tutti i millecinquecento ragazzini stessero zitti, poi si è avvicinato al microfono e ha gridato: «I am a geek!». E sul boato che stava facendo tremare il David Lawrence Convention Center, ha aggiunto: «Geeks rock!». Che si potrebbe tradurre così: Sono un geek. I geek spaccano. Oh-oh. Già , ma chi sono i geek e cosa stanno spaccando? Sono i nuovi geni: sono usciti dalle loro stanze, hanno spento i pc e adesso vogliono cambiare il mondo. Pensano di poterlo fare perché sono oggettivamente i più bravi. In che cosa? In tutto quello che fanno, dipende. Sono i curiosi, gli entusiasti di ogni novità , soprattutto tecnologica. In un certo senso ci sono sempre stati: per esempio “Gutenberg era un geek” secondo il guru della rete Jeff Jarvis che ha appena dedicato un libretto all’inventore della stampa a caratteri mobili mettendolo in copertina ma ritoccato con uno dei simboli di questa cultura: gli occhialoni da vista con la montatura nera quadrata. Sì, quelli dei secchioni. 
Ecco in un certo senso una volta i geek erano solo i secchioni brillanti che impazzivano per i film di fantascienza. Erano i tempi di “Freaks and Geeks”, una serie tv di un secolo fa: dodici anni per la precisione. Oggi quel concetto è molto più largo, e riguarda tutti coloro che hanno una passione al limite della ossessione, e che applicano un metodo scientifico o matematico per fare le cose meglio. Perfezionisti come metodo, ottimisti per la fiducia illimitata nella tecnologia, e scettici per natura nel senso che diffidano di tutti quelli che fanno le cose male. A proposito delle scetticismo, uno dei miti viventi dei geek è Ben Goldacre, autore di una rubrica sul Guardian di notevole successo che si chiama Bad Science: in pratica mette alla berlina tutti coloro che sparano panzane pseudo-scientifiche. Esattamente come fa dalla Svizzera il blogger Paolo Attivissimo che si definisce “cacciatore di bufale” e vanta quasi 80 mila follower su Twitter. 
In un certo senso, i programmatori sono stati i primi geek: scrivere milioni di righe di codice per far funzionare qualcosa richiede metodo e fiducia. “Ma ormai non ci sono più solo i computer, i geek sono ovunque” spiega Chris Anderson, direttore di Wired, il magazine di San Francisco che in vent’anni ha contribuito a far uscire questa cultura dalla nicchia un po’ sfigata dove era confinata all’inizio. Ormai, secondo Anderson, ci sono i cuochi geek, ovvero quelli che cercano un metodo scientifico per cucinare meglio come lo scienziato Nathan Myrvold che dopo essersi occupato della malaria e aver diretto lo sviluppo tecnologico di Microsoft ha scritto un libro per spiegare “la formula della patatina fritta perfetta”; oppure ci sono i giardinieri geek, che analizzano ogni zolla della terra del proprio balcone e individuano i nuovi strumenti per far crescere meglio le piante; e ancora gli sportivi geek, come si vede nel film Moneyball dove il protagonista, effettivamente un po’ sfigato, applica una serie di algoritmi misteriosi per aiutare Brad Pitt a trasformare una squadretta di baseball in un’armata quasi imbattibile. 
Ma i geek per antonomasia sono gli inventori. Come i millecinquecento ragazzini che la settimana scorsa stavano a Pittsburgh. Erano lì per la Intel International Science and Engineering Fair, ovvero la più importante competizione fra gli studenti di scienze e matematica. Qui non si trattava però di fare a gara per risolvere delle equazioni: qui si trattava di inventare e far funzionare qualcosa che migliori il mondo. Come fece Ben Gulak, tre volte finalista di Isef, tornato quest’anno come star dell’evento: la prova vivente di cosa può diventare un bravo geek. Lui a 17 anni ha inventato Uno, il primo veicolo “transformer”, che a bassa velocità  si piega in due e viaggia su una ruota sola (ed è elettrico). Adesso che ne ha 22 ha messo sul mercato The Shredder, una specie di skateboard cingolato come un carrarmato, e motorizzato, che può scalare e scendere da qualunque terreno. Piace molto all’industria bellica, pare. 
Quest’anno l’Isef lo ha vinto, con un urlo degno di una medaglia olimpica, Jack Andraka di Crownsville nel Maryland: è un ragazzino di soli 15 anni che ha presentato una invenzione che fa tremare la voce solo a dirla. Ha inventato una specie sticker per determinare subito, con sangue o urina, se qualcuno ha il cancro al pancreas. Secondo i 1300 giudici della gara, lo sticker di Jack «ha una accuratezza del 90 per cento ed è 28 volte più veloce, 28 volte meno costoso e 100 volte più sensibile degli attuali test in commercio». Come ha fatto un 15enne a realizzare una cosa che potrebbe dare una svolta alla prevenzione del tumore più letale che c’è? «Perché mio zio è morto di cancro al pancreas e mi sono messo a studiare come avrei potuto salvarlo». Studiare è la parola magica. 
L’Italia a Pittsburgh era rappresenta da due team. Uno formato dalle sorelle Elalim e Jasmine Zen Vukovic, che studiano a Sassari e hanno presentato un progetto che unisce turismo, musica e naturalmente matematica. E un altro, che viene dal liceo De Giorgi di Lecce, formato da Aldo Cingolani, Roberto Fasano e Andrea Paladini. La loro invenzione è un procedimento chimico per rendere idrorepellente qualunque materiale, una cosa che potrebbe avere infinite ricadute di prodotti commerciali. Ma il fatto per cui i tre studenti di Lecce saranno ricordati forse è un’altro. Il giorno della inaugurazione, il 14 maggio, tutti i team sono stati invitati a presentarsi sul palco, lo stesso palco del tipo che urlava “Geeks Rock!”, con un poster che rappresentasse il proprio paese. Aldo Roberto e Andrea hanno disegnato l’Italia, in basso ci hanno messo l’uomo di Vitruvio di Leonardo da Vinci, che non è solo un simbolo del genio italiano ma anche una icona dei geek di tutto il mondo. E poi sopra ci hanno messo una scritta, molto impegnativa di questi tempi, che racchiude l’incredibile ottimismo per il futuro che hanno questi ragazzi: “The future Italy belongs to us”. Ho chiesto loro perché ne fossero tanto sicuri. Roberto, l’autore della frase, ha risposto così: «I palazzi più alti sono quelli che hanno le fondamenta più forti. Noi italiani siamo la nazione con le «fondamenta» storiche più ampie e forti e quindi saremo noi in futuro a svettare rispetto alle altre nazioni se sapremo dare spazio ai giovani scienziati». Speriamo, ragazzi: che il futuro dell’Italia vi appartenga davvero.

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