Domande senza risposte, le verità  di Carlos Fuentes

Loading

«Mi alzo la mattina presto e alle sette o allo otto sto già  scrivendo.Tra i miei libri, mia moglie, i miei amici e i miei amori ho motivi sufficienti per continuare a vivere»: queste parole le ha pronunciate qualche giorno fa fa Carlos Fuentes durante la Fiera del libro di Buenos Aires, in quella che forse è stata la sua ultima intervista. E nessuno, tra quanti avevano constatato che la vitalità  e l’entusiasmo dell’instancabile, elegante, mondanissimo scrittore messicano sfuggivano alle leggi dell’età , avrebbe mai immaginato che martedì mattina un malore improvviso (un’emorragia interna provocata da un’ulcera, secondo i giornali messicani) se lo sarebbe portato via in poche ore, mentre aveva già  le valige pronte per affrontare, insieme alla moglie Silvia Lemus, un altro dei tanti viaggi che scandivano la sua vita: sei mesi a Londra – dove niente lo distraeva dalla scrittura – e sei a Città  del Messico, punteggiati da apparizioni nelle dozzine di luoghi in cui lo invitavano a tenere conferenze, presentare libri, partecipare a convegni.
Un vagabondo cosmopolita, del resto, Carlos Fuentes lo era stato sin dall’infanzia, per via di un padre diplomatico ed errante che lo aveva fatto nascere a Panama nel 1928 e crescere in nazioni diverse, dal Cile all’Ecuador, dagli Stati Uniti all’Argentina (dove si rifiutò di frequentare il liceo per protesta contro i programmi reazionari e antisemiti del ministro Zuvirìa). Quando la sua famiglia rientrò in Messico, il sedicenne Carlos si ritrovò a vivere in un paese che conosceva solo per via delle lunghe estati trascorse presso i nonni: un paese del quale lo colpirono innanzitutto le peculiarità  linguistiche e dove tutto lo divertiva e lo affascinava, come racconta Elena Poniatowska, che lo conobbe da ragazzina a una festa da ballo e che ricorda la sua mania di prendere appunti su ogni cosa.
Da allora, Fuentes non ha fatto che andare e venire tra il suo paese e gli Usa, l’ Inghilterra, la Svizzera, la Spagna, la Francia, dove fu ambasciatore nel 1975 per poi rinunciare all’incarico nel 1977, in segno di protesta per la nomina dell’ ex presidente Dà­az Ordaz, responsabile del massacro di Tlatelolco, a primo ambasciatore messicano nella Spagna postfranchista.
Il vero centro della sua esistenza e della sua opera, tuttavia, è rimasto il Messico, del quale è stato per cinquant’anni una sorta di coscienza critica e che ha raccontato, rappresentato e tentato di definire attraverso un ventina di romanzi e diverse raccolte di racconti, oltre a copioni teatrali e cinematografici (la sua prima moglie era una famosa attrice, e il regista Buà±uel uno dei suoi migliori amici), numerosi saggi e centinaia di articoli non necessariamente di argomento letterario. La politica, infatti, non smise mai di appassionarlo, e non si contano le sue energiche prese di posizione: a favore (almeno all’inizio) di Castro e contro Bush – Contra Bush è appunto il titolo di un suo saggio del 2004, pubblicato in Italia da Tropea; a favore della depenalizzazione delle droghe e contro il Partido Revolucionario Institucional al governo per sessant’anni, ma anche contro i suoi inetti successori e la corruzione che da sempre è tutt’uno con la politica messicana (e suona inevitabilmente ironico che tra gli elogi post mortem i più sperticati siano quelli di Felipe Calderà³n e del candidato presidente Enrique Peà±a Nieto, sui quali Fuentes ha scritto e detto cose di fuoco).
Immerso nell’osservazione, nell’analisi, nella spietata e lucida narrazione del Messico, della sua storia passata come del suo sanguinosissimo presente (Il Saggiatore ha appena pubblicato Destino, storia crudele narrata da una testa tagliata), Fuentes non ha mai smesso di essere attento a quanto accade nel mondo, e proprio della «nuova epoca» in cui tutto va vertiginosamente cambiando aveva parlato a Buenos Aires, nella sua ultima lectio magistralis. C’è stato perfino chi gli ha rimproverato la sua ansia di «essere al corrente», di pronunciarsi su tutto, di commentare avidamente ogni novità : e la lunga polemica con lo storico Enrique Krauze e con la sua rivista «Letras Libres» (erede della celebre «Vuelta» diretta dal premio Nobel Octavio Paz, un tempo grande amico e poi avversario di Fuentes), che ha toccato punte di vera sgradevolezza, è segnata dall’accusa di essere «troppo poco messicano» e di parlare di un Messico del tutto inventato.
Ma, com’è ovvio, ogni patria letteraria è una patria inventata, ed è proprio questa invenzione, sosteneva Fuentes, a svelarci profonde verità , perché, anche se il romanzo non ci dà  risposte (come «non ce ne danno la politica, la logica, la scienza») ci consente tuttavia di fare le domande in un altro modo, «ambiguo, comico, trasgressivo». Queste domande Fuentes ha saputo porle magistralmente sin da quando, dopo un esordio in sordina con i racconti di Los dà­as enmascarados, nel 1958 fece irruzione nella letteratura messicana con il suo primo romanzo, La regià³n mà¡s transparente (diventato in Italia L’ombelico del cielo, e oggi nel catalogo del Saggiatore col titolo di La regione più trasparente), un prodigioso ritratto urbano che ha per protagonista Città  del Messico, quasi un mural – fu Carlos Monsivais a definirlo così – dove, come in quelli di Rivera o di Siqueiros, sono contemporaneamente presenti innumerevoli personaggi rappresentati in luoghi e tempi diversi. Un testo innovatore, audace, in cui il giovane scrittore giocava con il linguaggio, i temi, la struttura, dando inizio a una sperimentazione che non sarebbe mai cessata e che l’avrebbe collocato tra gli autori più importanti del Boom latinoamericano, nonché tra i padri riconosciuti della modernità  messicana, insieme a Juan Rulfo e Octavio Paz.
A La regià³n mà¡s transparente sarebbero seguite altre opere di importanza capitale, continuamente rilette e raramente superate, come La muerte de Artemio Cruz (La morte di Artemio Cruz, Net 2002), del 1962, che racconta l’agonia di un ex rivoluzionario imborghesito, la cui vita è segnata da mille tradimenti, ricorrendo a tre voci narranti e a differenti piani temporali: un romanzo che confermerà  Fuentes come narratore potente e maestro del linguaggio, sottolineandone la costante preoccupazione storica (una Storia che si può ricreare e ri-immaginare all’infinito, perché l’imperativo è «sognare il passato, ricordare il futuro»), la capacità  di usare come pochi il flusso di coscienza e di costruire testi «aperti» dall’impianto complesso. 
Aura (sessanta pagine di cui si usa dire che sono semplicemente «perfette»), Cambio de Piel, il poderoso Terra Nostra , Los aà±os con Laura Dà­az, Diana o la cazadora solitaria (dedicato a Jean Seberg, con cui aveva avuto una breve e tormentosa relazione) sono solo alcuni dei tanti titoli che compongono la sua sterminata bibliografia, insieme a saggi di grande interesse come La nueva novela hispanoamericana (1969), assai superiore, va detto, al recente e diseguale La gran novela latinoamericana (2011), canone personale ricco di esclusioni e inclusioni su cui si potrebbe senz’altro discutere. 
E diventa inevitabile, a questo punto, sottolineare come una produzione frenetica, inarrestabile e di sovrabbondanza balzachiana, qual è quella di Fuentes, possa e debba registrare alti e bassi notevoli, insieme a una indubbia e lenta involuzione che negli ultimi anni ha comportato il riutilizzo (e non più la reinvenzione) di temi già  ampiamente sfruttati, una scrittura più stanca e prevedibile, uno stile meno luminoso e originale. Ma niente, né ora né in futuro, toglierà  a Carlos Fuentes il ruolo che si è conquistato nella letteratura messicana e mondiale grazie a un pugno di opere memorabili che hanno fatto da spartiacque tra due epoche, mantenendo sempre l’attualità  dell’autentica opera d’arte.


Related Articles

PARTIGIANI, ESULI E RIBELLI LA NOSTRA STORIA IN UNA DONNA

Loading

“Timira” il nuovo romanzo di Wu Ming 2 racconta la vita di Isabella Marincola

PERCHà‰ L’EMERGENZA PORTA ALLA RIMOZIONE

Loading

Dal terremoto alla crisi, come superare gli stati sociali di “necessità ”

Mirà³ il sognatore che volle diventare cattivo

Loading

Al Chiostro del Bramante di Roma ottanta opere tra dipinti, sculture e disegni ripercorrono la poetica del maestro catalano. Un viaggio alla scoperta dei segni e dei colori di un artista che ha rappresentato il lato fantasioso e onirico della pittura del NovecentoNel silenzio di Palma, è come se sentisse il desiderio di reinventarsi, di accelerare il passo 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment