Decollano i project bond un tesoretto da 200 miliardi per far ripartire la crescita

by Editore | 11 Maggio 2012 6:41

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ROMA – Le convulsioni greche, il collasso spagnolo, la vittoria di Hollande, le difficoltà  politiche della Merkel in Germania, l’insistenza di Mario Monti e, dall’Fmi, di Christine Lagarde. Il risultato degli scossoni che, nelle ultime due settimane, hanno, ancora una volta, investito l’Europa è che, per la prima volta da mesi, i paesi dell’euro non sembrano avviati a tentare di uscire dalla crisi, schiacciando solo il pedale dell’austerità . Soprattutto, l’altro pedale, quello della crescita, dopo le parole, si sta riempiendo di contenuti concreti, fino a far intravedere l’abbozzo di una possibile strategia di rilancio dello sviluppo e di riequilibrio fra i diversi paesi, in grado di superare le secche della diffidenza di Berlino.
Il primo passaggio di questa strategia – e anche quello su cui sembra più facile trovare rapidamente un accordo – sono i project bonds. Sono strumenti che non hanno niente a che vedere con gli Eurobonds, di cui si è a lungo parlato. Gli Eurobonds sarebbero titoli che vengono emessi dall’insieme dei paesi dell’area euro, per finanziare (a tassi più bassi, data la maggiore affidabilità  di Eurolandia) il debito pubblico di un singolo paese. Una forma di condivisione del debito, a cui, sinora, la Germania si è opposta con forza. I project bonds andrebbero, invece, a finanziare singoli progetti di infrastrutture e si ripagherebbero, in linea di principio, da soli. E’ uno strumento già  largamente in uso, nel mondo finanziario: una società  presenta un progetto al mercato e lo finanzia con obbligazioni, garantendo il prestito con il valore dell’opera e il rimborso di capitale e interessi con i relativi proventi. Nell’esempio più semplice, quello di un’autostrada, con gli incassi dei pedaggi. 
La Commissione, a Bruxelles, ne parla da un paio d’anni e aveva anche ipotizzato di lanciare, per questa via, investimenti per 1500-2000 miliardi di euro entro il 2020. Le cifre di cui si parla in questi giorni sono molto più contenute, anche se rispettabili: circa 200 miliardi di euro. Il grosso di questi soldi, naturalmente, dovrebbe venire da investitori privati, in particolare investitori istituzionali, come banche e fondi pensione. L’esborso effettivo, da parte dei governi europei, sarebbe limitato ad una iniezione di 10 miliardi di euro nel capitale della Bei (anche se l’ipotesi di decidere già  la settimana prossima è stata ieri esclusa dai ministri finanziari dei 27). 
Il meccanismo è ancora in discussione, ma potrebbe essere il seguente. Grazie a questi nuovi soldi, la Bei emette obbligazioni sul mercato e, con il ricavato, aiuta a finanziare questi progetti privati. O garantendo le loro obbligazioni (in pratica, mettendo a disposizione un fondo a cui possono attingere, se gli incassi dell’opera non sono sufficienti ai rimborsi) o con un prestito vero e proprio che, però, verrebbe rimborsato solo successivamente agli investitori privati, in caso di default del progetto. 
Quali infrastrutture verrebbero finanziate? E’ il punto più delicato: quelle di cui si parla sono un potenziamento della banda larga di Internet e una razionalizzazione della rete elettrica europea, anche per tener conto del boom dell’energia da fonti alternative. In ogni caso, un piano di investimenti, finanziato dai project bonds, avrebbe il doppio vantaggio di migliorare il potenziale di crescita europea a lungo termine e di mobilitare, nell’immediato, appalti e commesse.
Lo stesso risultato si otterrebbe, su scala nazionale, svincolando, come ha più volte chiesto Monti, le spese pubbliche per investimenti dai vincoli di bilancio fissati a livello europeo. E’ il secondo capitolo di una possibile strategia di sviluppo. Il terzo, di cui si è cominciato a parlare in incontri informali a Bruxelles, è un allentamento di quei vincoli, spostando il loro raggiungimento uno o due anni più avanti e dando così la possibilità , a paesi come Spagna e Italia, di dare più respiro all’economia. Il quarto riguarda solo la Germania, ma è cruciale. Il grosso degli economisti ritiene impensabile che l’area euro ritrovi la via dello sviluppo se tutti i paesi contemporaneamente adottano una rigida austerità . Se Italia e Spagna stringono la cinghia, la Germania deve allentarla, accettando una politica espansiva e tassi d’inflazione più alti – e non più bassi, come oggi – degli altri paesi. Per la prima volta, Berlino sembra aprire uno spiraglio in questo senso. Il ministro delle Finanze, Schaeuble, si è speso a favore degli aumenti salariali per i lavoratori tedeschi. «È bene – riconosce Schaeuble – che i salari in Germania crescano più in fretta che negli altri paesi. Questi aumenti servono anche a ridurre gli squilibri all’interno dell’Europa».

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