Dante tra gioco e sogno
Nel mezzo del cammino di sua vita, Dante Alighieri è oggi un giovanotto che veste in maniera informale come gran parte dei suoi coetanei e flirta un po’ con la ragazzina dai capelli a coda di cavallo, come le liceali di una volta, che gli va dietro con pose seduttive e gridolini da gabbianella, infatuata di colui che ai suoi occhi è già uomo fatto e non più un ragazzo. Bisogna lasciare ogni attesa o speranza di riconoscere l’iconografia tradizionale della Divina Commedia , per calarsi nel poderoso spettacolo che Eimuntas Nekrosius ha tratto dal capolavoro fondativo della nostra identità nazionale, se si è d’accordo che l’identità risiede nella lingua. O forse, poderoso non è il termine adatto. Poteva andar bene per il Faust orchestrato anni fa dal maestro lituano, messinscena poderosa non solo per la durata dell’evento ma perché con forza riproponeva la presenza del teatro di regia all’interno della scena contemporanea. Qui circola una leggerezza giovanile, quasi una svagatezza, cose da ragazzi appunto, quali infatti sono i giovani allievi della compagnia Meno Fortas che fan corona al protagonista, il più maturo Rolandas Kazlas (era Jago nel bellissimo Otello veneziano). Può anzi sembrare che proprio la scelta di lavorare con questi giovani attori abbia dato una visibile impronta allo spettacolo che ha debuttato al teatro Verdi di Brindisi, evento centrale di Puglia Showcase, la vetrina del teatro contemporaneo nella regione (e questa sera e domani al Comunale di Modena, per il festival Vie ). Che ci appare sospeso fra sogno e gioco, quei sogni e giochi che un poco vorrebbero farci paura, ma da cui sappiamo di non dover temere nulla. Le conosciamo quelle tre fiere che non riescono a fingere una seria ostilità . O quella sfacciata che gioca a far la parte dell’Italia. E l’invalicabile porta dell’inferno contro cui si sbatte è una parete specchiante, coperta da un sipario nero, teatro insomma, innocente trucco da fiera. Dopo le grandi creazioni shakespeariane degli scorsi decenni, Nekrosius ha affrontato di preferenza testi estranei alla letteratura drammatica. Opere spesso monumentali che richiedono di comprimere l’azione nella durata del tempo scenico, per quanto dilatata a parecchie ore; operando quella sospensione del dramma che consente al tempo scenico di essere attraversato dalla vita. È come se il regista, dopo aver toccato con Shakespeare il vertice della forza drammatica della parola, nel canone occidentale, abbia sentito il bisogno di riparare in una zona franca, dalla sinfonia agreste delle Stagioni alla liricità rarefatta del Cantico dei cantici ; per approdare al romanzo russo, Anna Karenina e il più recente Idiota . Con esiti non sempre ugualmente compiuti, che ci hanno restituito l’immagine di un artista alla ricerca di un percorso da esplorare ma anche artefice di visioni prigioniere talora del proprio apparato simbolico o del gioco astratto della teatralità esibita. Non è cambiato per questo il metodo creativo dell’artista lituano. Ovvero la sua capacità di amplificare visivamente la suggestione di un dettaglio, fino a farne un’immagine che viene poi ricomposta e variata nella struttura dello spettacolo. Come il moto circolare evocato dalla spirale metallica che si allunga nelle mani degli interpreti e diventa strumento sonoro, immagine convenzionale, essa sì, dell’iniziatica discesa nell’aldilà – che poi però prende corpo nella figura alta e rigida che percorre in cerchio il palcoscenico e sono naturalmente i gironi dell’Inferno dantesco (in locandina è indicato come 2pr). O l’inatteso apparire di un postino che passa a più riprese con una slitta a recare cartoline dall’Inferno. Così come resta fondante per il teatro di Nekrosius la presenza di oggetti poveri, sottratti all’uso quotidiano, sulla scena priva di appigli naturalistici, dove campeggia la grande sfera che nel finale si aprirà un po’ a mostrare un interno infuocato. Sagome bianche che moltiplicano il profilo di Beatrice. Le gabbiette che invadono il Purgatorio (lo spettacolo si ferma alle prime due cantiche). La lunga asta con cui Paolo e Francesca, seduti a fianco, sottolineano il libro galeotto che tengono sulle ginocchia. Il trono fatto da una pila sempre più alta di sedie, che Papa Adriano V cerca invano di scalare. In una selva di metafore ossessive in cui si rischia di ritrovarsi un po’ sperduti. La Divina Commedia (di Nekrosius) è un sogno fatto in Italia. Che ci arriva su un tappeto sonoro di cui si riconosce facilmente la forte valenza drammaturgica. Una romantica play list che mescola la la quinta sinfonia di Cajkovskij e il Faust di Gounod, Ravel e Carl Maria von Weber con la musica composta da Andrius Mamontovas (l’indimenticabile Amleto di Nekrosius) suonata a un pianoforte a vista, sul fondo. E c’è spazio anche per la beatlesiana Let it be , cantata in coro degli interpreti. È forse la sigla appropriata dello spettacolo.
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