by Editore | 30 Maggio 2012 6:22
Lo scrittore francese Daniel Pennac è in questi giorni in Italia, coinvolto in una “residenza artistica” ospitata dal Centro “Il Funaro” di Pistoia, struttura mecenatistica gestita da un formidabile gruppo di donne imprenditrici e appassionate di teatro. Impegnato per la prima volta in un lavoro drammaturgico, Pennac, romanziere di popolarità irresistibile e di spiccato senso dell’umorismo, sta partecipando al montaggio dello spettacolo “Il 6° Continente” (debutto il 16 ottobre al Théà¢tre des Bouffes du Nord di Parigi, poi dal 14 novembre a Torino per lo Stabile, che coproduce il progetto), affidato a una pittoresca troupe internazionale di attori, danzatori e musicisti coordinati dalla regista Lilo Baur, già collaboratrice di Peter Brook.
Il creatore della fortunata saga della famiglia Malaussène (oltre che di saggi e di vari altri titoli di fiction), sta scrivendo giorno per giorno il copione de “Il 6° Continente”, sviluppandolo secondo un metodo “in progress”: divertendosi un mondo (così sembra), Pennac segue le improvvisazioni degli interpreti su un tema affascinante e spaventoso. E sta via via tessendo il testo in base agli esiti delle prove. «Quel continente, noto come Great Pacific Garbage Patch», spiega lo scrittore, «è l’immensa discarica di rifiuti galleggiante in mare».
Il soggetto dello spettacolo è quindi la spazzatura?
«È qualcosa di disperante e irrimediabile di cui gli scienziati si stanno occupando da tempo: il Continente-Spazzatura esiste davvero nel Pacifico. Certe correnti convergenti recano in una fetta di oceano una condensazione mostruosa di scarti, soprattutto plastica e residui d’imballaggi. Tale macchia di lordura pare che rasenti le dimensioni della Francia».
Lo spettacolo descriverà il fenomeno?
«Io sono come il librettista di un’opera il cui libretto è generato dalla musica, che in questo caso equivale alle azioni degli attori, i quali improvvisano su nozioni contrapposte stimolate da quello spunto. Dunque ricchezza e povertà , sporcizia e pulizia, manifattura e decomposizione… Perché, per esempio, nel subconscio del consumatore occidentale il concetto di pulizia è associato alla ricchezza? La visione di una Ferrari è sempre sfolgorante. Questa può essere un’idea su cui improvvisare. Intanto io costruisco il ritratto di un uomo che si vede privato dei suoi beni per trovarsi catapultato in quell’iperbolico disastro ecologico fluttuante. Il cardine è la trama del Timone d’Atene».
Che c’entra Shakespeare con i rifiuti?
«La dicotomia dei contrari è il motore della forza teatrale del Timone, il cui protagonista è un filantropo che distribuisce denaro a falsi amici. Spinto dal filosofo Apemanto, finirà per diventare un assoluto misantropo. Non c’è linea aneddotica nel Timone: nessuna storia d’amore o presa del potere. È una parabola interamente umana. Il che la rende adatta al nostro gioco, dove il percorso del narratore, in solitudine fra i detriti del sesto continente, evolve in un flusso d’immagini mnemoniche à rebours, a partire dall’infanzia. Come nel Timone, l’iter coinciderà con la perdita delle illusioni e col capovolgimento psicologico del personaggio. Lungo il viaggio, che non avrà mai un tono didattico, ma sarà pieno di humour, si moltiplicheranno interrogativi come: dove va a finire la sporcizia del nostro corpo quando facciamo la doccia? Pensiamo davvero che scompaia? Qual è il tragitto dei nostri residui?».
Domande che possono collegarsi alle suggestioni del suo Journal d’un corps, pubblicato di recente in Francia, e che in Italia uscirà in ottobre per Feltrinelli come Storia di un corpo.
«È un libro sul rapporto intrattenuto da un uomo con lo sviluppo del proprio corpo dai dodici agli ottantasette anni, scandito in forma di cronaca dei messaggi che il fisico manda allo spirito. Dopo un trauma subìto da bambino, il narrante decide di redigere le sue sensazioni per controllarle, prendendo nota del modo in cui reagisce a ogni sorpresa datagli dal corpo. Il suo diario è un ambasciatore permanente tra le rivelazioni fisiche e le interpretazioni che ne dà lo spirito».
Qual è il senso e l’obiettivo del libro?
«Registrare il fatto che il nostro corpo si esprime sempre attraverso la sorpresa, anche se abbiamo già la consapevolezza di quelle che saranno le sue reazioni. Una ragazzina sa dai genitori che prima o poi avrà le mestruazioni, eppure percepirà il primo ciclo come una sorpresa sconvolgente. Il corpo ci stupisce persino ripetendosi: il mio prossimo raffreddore mi sorprenderà pur avendone già avuti tanti. È un soggetto che mi affascina da molti anni. Nel quarto romanzo della serie dei Malaussène, Monsieur Malaussène, l’ho riversato nella vicenda di una coppia che mette al mondo un bambino solo per filmare l’evoluzione del suo corpo».
Perché il tema l’attrae tanto?
«Per i paradossi che assume nella nostra civiltà . Più il corpo è esibito – nella pubblicità , nella pornografia, nella body art, nell’indagine medica, negli scanner delle analisi – e meno emerge la nostra relazione intima con lui. Il rapporto resta nell’ordine del tabù, e ciò accade a partire da epoche relativamente recenti. Non era così per Rabelais, Montaigne, Rousseau… L’epoca napoleonica fu dominata da immagini del corpo affioranti ovunque: nelle forme femminili denudate, con l’esposizione dei corpi in guerra… Ma alla fine dell’Impero, quando la borghesia si mette a ricostruire l’Europa, il corpo viene represso, e il fatto che oggi sia tanto esasperatamente messo in mostra non intacca quella barriera di pudore, ma l’amplifica».
In che modo vede il futuro della lettura e della scrittura? Finirà il libro di carta? L’e-book condizionerà una nuova narrativa?
«È la solita storia: quando appare una nuova tecnologia si teme che distrugga la precedente. Si disse che l’avvento della fotografia avrebbe annientato la pittura, che invece ha solo preso altre forme. Arrivò il cinema e si parlò dell’inevitabile declino della fotografia: falso. Pareva che la televisione dovesse uccidere il cinema, e la tivù è diventata produttrice di film. Ora, se la natura del supporto della lettura cambia, si pensa che potrebbe azzerare il contenuto. Impossibile. Quel che accadrà (non a me, che leggerò sempre libri di carta, ma alle nuove generazioni) sarà che la lettura diventerà molto pluridimensionale. I nuovi strumenti consentiranno letture a blocchi di argomenti, dissezioni, mobilità trasversale nel libro… Ma il romanzo non sparirà mai».
Mai?
«Non vede che in Francia si parla della morte del romanzo da oltre cinquant’anni? Che noia. La narrazione è un’umana necessità . Avremo sempre bisogno di costituire una mitologia che passi per la scrittura».
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