Dal Brasile al cda Telecom la “rete” stesa da Generali per salvare il soldato Luciani

by Editore | 8 Maggio 2012 6:34

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MILANO – «Era indifendibile». Questo il commento raccolto da alcuni componenti del cda di Telecom a pochi giorni dalla clamorosa estromissione di Luca Luciani dal vertice operativo di Tim Brasil, la controllata che sta trainando i conti di tutto il gruppo. La decisione di Franco Bernabè di procedere a una defenestrazione è maturata solo dopo aver letto i 14 faldoni dell’inchiesta condotta dal pm Alfredo Robledo sulle truffe delle sim card, avvenuta a Milano negli anni dal 2006 al 2008. L’attenta lettura da parte dei legali delle circa 22mila mail inviate da Luciani ha evidenziato un comportamento non compatibile con un manager della prima linea e con quella responsabilità . In realtà , questa incompatibilità  era già  stata manifestata dalla struttura interna di auditing nell’estate 2010, dopo l’interrogatorio di Luciani condotto dalla magistratura. Ma Bernabè preferì dare una chance in più al manager diventato famoso suo malgrado per la gaffe su Napoleone vincitore a Waterloo.
A ben vedere, ciò che preoccupa di più alcuni consiglieri Telecom è la difesa di Luciani che uomini collegati in diverso modo all’azionista Generali hanno organizzato per cercare di evitare la traumatica uscita. Un primo tentativo è stato fatto da Carmelo Furci, plenipotenziario di Generali in Brasile, dove è approdato grazie alla segnalazione dello stesso Luciani. Nel cda di Tim Brasil per approvare i conti, Furci ha sollevato dubbi sulla correttezza dell’inchiesta della magistratura, che a suo parere avrebbe violato la privacy dell’indagato andando a pescare nei server della società . Poi è stato Mauro Sentinelli, consigliere Telecom indicato da Generali, a far notare nella riunione del comitato di controllo interno svolto prima del cda che i comportamenti di Luciani sulle sim card brasiliane erano coerenti con il regolamento di servizio approvato dalla stessa società . Ma tutto ciò non è servito a molto poiché Bernabè è arrivato in consiglio molto determinato e con in mano il materiale più scottante dell’inchiesta. L’unico a invocare la difesa di Luciani, in quella sede, è stato Aldo Minucci, vicepresidente con delega all’audit, ex alto dirigente di Generali e ora presidente dell’Ania. Minucci nell’estremo tentativo di difendere il manager ha sollecitato un voto in cda ma ha perso: tutti a favore del defenestramento tranne lui. 
Tuttavia il fatto più inquietante è che i fili della difesa estrema di Luciani siano stati tirati da Michelangelo Agrusti, volato in quei giorni in Brasile per coordinare meglio la manovra. Agrusti (fratello di Raffaele, attuale direttore generale di Generali), presidente di Unindustria Pordenone, insieme al braccio destro Sergio Vicari è da diverso tempo indicato come l’azionista occulto (attraverso la lussemburghese Kermari Sa) di Onda Communications, società  che da anni fornisce a Telecom sia telefonini che chiavette Usb. La Onda dal 2008 è nel mirino del servizio di audit interno della Telecom, che ha chiesto ufficialmente l’interruzione dei rapporti. Che però continuano imperterriti. A fine 2011, ad esempio, l’ufficio acquisti Telecom ha autorizzato con procedure anomale l’acquisto da Onda di 100mila terminali modello TQ 150 al prezzo di 102 euro a pezzo andati quasi tutti invenduti con una perdita per l’azienda quantificabile in 7-8 milioni. Oltre a 300mila chiavette Usb a 30 euro l’una quando in magazzino ne giacevano ancora 400mila. I terminali e le chiavette sono prodotti dalla cinese Zte, in Brasile rappresentata direttamente da Agrusti e Vicari i quali, grazie alle buone entrature presso Luciani e Cardone (responsabile della rete), hanno vinto diverse commesse da Tim Brasil. Ora con l’uscita di Luciani questo castello è messo in discussione, così come l’insostenibile ruolo di Minucci come responsabile dell’audit di Telecom Italia.

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