LA DIVINA ILLUSTRAZIONE DA DORà‰ A RAUSCHENBERG SE L’INFERNO DI DANTE È COME LO SI DIPINGE

by Editore | 5 Maggio 2012 10:53

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PARMA Verso la fine degli anni Cinquanta Gianfranco Contini scrisse a Roberto Longhi per chiedergli un consiglio su una eventuale mostra da dedicare alle illustrazioni del poema dantesco in vista del settimo centenario della nascita che cadeva nel 1965. Longhi rispose, intanto, con qualche appunto in cui riepilogava il lungo cammino degli illustratori danteschi, suggerendo di cominciare con una sezione dedicata all’immagine di Dante stesso dall’affresco del Bargello a Botticelli, ma spingendosi avanti nei secoli sino al Dantes Adriaticus di Adolfo de Carolis. Nella rapida rassegna degli illustratori della Commedia, arrivando all’Ottocento, Longhi accenna ad illustratori italiani “che vale la pena di esporre”, ma senza fare nomi.
Uno lo avanza ora meritoriamente la Fondazione Magnani Rocca ed è quello di Francesco Scaramuzza di cui presenta 243 disegni realizzati tra il 1861 e il 1876 mettendoli a confronto con le 135 tavole incise da Gustave Doré, che tra le illustrazioni moderne del capolavoro dantesco sono certamente le più popolari. Scaramuzza è anche l’autore degli affreschi danteschi che ornano la Biblioteca Palatina di Parma: dunque si può dire un pittore fedelissimo a Dante. Ma quale Dante? Dobbiamo dire subito che ogni illustratore nel leggere Dante per immagini ci mette moltissimo del suo e certamente il Romanticismo si impossessò del poema e di certe sue scene “madri” ricolme di passione e di orrore, specie nell’Inferno. Racconta Stefano Roffi, che ha curato mostra e catalogo della Fondazione Magnani Rocca, che un critico ottocentesco, Luciano Scarabelli, volle istituire un parallelo tra Doré e Scaramuzza, cercando di dimostrare che l’italiano aveva meglio interpretato Dante.
A noi sembra, invece, che Scaramuzza sia meno inventivo di Doré, anche se in qualche modo più aderente al testo. La sua lettura sa di accademia, anche se è un’accademia di ottima levatura. Domina la mostra un Lucifero che sembra, suggerisce Roffi, un gigantesco pelouche. L’Ottocento, comunque, aveva ripreso fortemente e gloriosamente il culto dantesco e basterebbe citare John Flaxman, Heinrich Fà¼ssli e William Blake per indicare una tendenza non certo episodica. L’Italia, alle prese con i problemi dell’Unità , fece quel che poteva. A Firenze Alinari bandì più tardi anche un concorso. Scaramuzza espose nel 1877 al Liceo Visconti di Roma, allora appena inaugurato, ottenendo anche un certo successo. Ma, scrive Claudio Zambianchi in un foltissimo numero speciale in tre volumi della rivista Critica del testo dedicata a Dante (ed. Viella) “se sotto il profilo delle arti visive l’Ottocento è un secolo dantesco per eccellenza, non così il Novecento”. E conclude poi che “il più importante ciclo di opere visive dedicate alla Commedia nel XX secolo è probabilmente la serie di trentaquattro illustrazioni eseguito tra il 1958 e il 1960 da Robert Rauschenberg”. 
Anche Rauschenberg naturalmente legge la Commedia, e qui in particolare l’Inferno, a suo modo, mettendoci dentro per esempio Richard Nixon e altri ostentati prelievi dalla contemporaneità . D’altra parte Dante aveva fatto lo stesso mettendo molti suoi contemporanei all’inferno… Dire che il Novecento non è un secolo dantesco non esclude che in molti si siano misurati con Dante, a cominciare da un artista originale come Arturo Martini. A metà  secolo arrivò poi l’episodio Dalà­, che affrontò la Commedia in modo assolutamente singolare creando naturalmente un certo scandalo. Ilaria Schiaffini, nella rivista appena citata, ricostruisce l’intera e gustosa vicenda.
Dalà­ aveva usato soltanto colori chiari in aperto contrasto con la tradizione ottocentesca. E aveva dichiarato: “Il romanticismo aveva perpetrato l’ignominia di far credere che l’inferno fosse nero come le miniere di carbone di Gustave Doré dove non si vede niente. Tutto ciò è falso. L’inferno di Dante è rischiarato dal sole e dal miele del Mediterraneo…”. Ma poteva il realismo dantesco sfociare impunemente nel surrealismo esasperato del pittore catalano? Non senza qualche sofferenza. Il che accade anche nel caso di un minore illustratore italiano, Amos Nattini, che aveva cominciato con d’Annunzio e le sue gesta d’oltremare e aveva poi dedicato vent’anni della sua vita a tradurre Dante in acquerelli, un centinaio, che oggi la Magnani Rocca espone nel salone contiguo a quello che accoglie Scaramuzza e Doré. 
Nattini non ha una sua visione di Dante, ma lo traduce in una fantasia di colori, ora più cupi ora più vividi e brillanti, prediligendo le scene di massa ove però si distinguono bene i corpi dei penitenti. Corpi che hanno visi moderni, forse di amici o conoscenti del pittore, gratificati di un passaggio nell’aldilà . Nattini sembra ad un passo dall’illustrazione popolare, in cui non è la novità  dello stile a prevalere, ma la coerenza di un omaggio didascalico. Accadrà  anche nel cinema, che fin dai suoi inizi dedicherà  a Dante diverse pellicole, come ricorda, ancora nella rivista sopra citata, Salvatore Maira, aggiungendo che “la figurazione generale dell’Inferno resta per circa un secolo regolata dalla ripetizione di un’iconografia elementare che il cinema può utilizzare come funzione di riconoscimento immediato di situazioni, immagini, atmosfere”. 
Di recente è stato restaurato dalla cineteca di Bologna un film di cento anni fa: appunto Inferno di Francesco Bertolini, Adolfo Padovan e Giuseppe De Liguoro, che era stato prodotto dalla Milano film. Un kolossal, per l’epoca, con oltre mille metri di pellicola. Si ispira soprattutto a Doré, cercando proprio quel riconoscimento immediato di episodi e situazioni attraverso una serie di “tableaux vivants” che le didascalie introduttive aiutano a riconoscere. Per uscire dalle letture più o meno scolastiche bisognerà  attendere parecchio tempo. Maira ricorda il breve film d’avanguardia The Dante Quartet di Stan Brakhage del 1987 che dura solo sei minuti, ma è il risultato di anni di intenso rapporto con la Commedia. Nel ’91 Manuel De Oliveira ha girato una Divina Commedia mettendo in una clinica psichiatrica Adamo ed Eva, Aliosha e Karamazov, Gesù e Lazzaro, Nietzsche e Raskolnikov… Dopo le mostre dantesche che Corrado Gizzi organizzò a Torre dei Passeri, in Abruzzo, ora la Fondazione Magnani Rocca riapre il discorso sul grande tema delle illustrazioni della Commedia. Dante ha stupito i suoi contemporanei, perché, come scrive Erich Auerbach, nessuno prima di lui aveva usato in modo così ricco e articolato il volgare. Noi questa novità  non la percepiamo più, ma Dante continua a stupirci per molti altri motivi, come se fosse sempre avanti a noi a mostrare il più insolito dei cammini.

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