Crowd funding Se la Rete finanzia le idee

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Pamela e Anna hanno ottenuto 621 euro per il finanziamento di un documentario sulla crisi greca, Il dito e la luna. L’adolescente britannica Katie Bradley è riuscita con le 250 sterline donate dai suoi simpatizzanti a partecipare ai campionati di Taekwondo, diventando campionessa. Una scuola in Perù ha comprato una lavagna, in molti sono riusciti a finanziare cd o cortometraggi. Il crowdfunding ha permesso a molte persone, in tutto il mondo, di raggiungere un obiettivo, realizzare un progetto, a volte un sogno. Funziona così: si va su internet, su una piattaforma specializzata (le più famose sono le americane Kickstarter e Indiegogo, tra quelle italiane Produzioni dal Basso, Eppela e Kapipal), e si lancia il proprio progetto, indicando la cifra necessaria per realizzarlo, e un termine. Se entro il termine indicato si raggiunge (o si supera) la cifra, si parte; una piccola percentuale della somma raccolta (in genere il 5%) viene trattenuto dal sito di crowdfunding. Le donazioni vengono “remunerate” con un regalo legato al progetto, e commisurato alla cifra: un cd, se si parla di musica, ma anche la possibilità  di suonare col gruppo, se il donatore è davvero generoso. Se l’obiettivo non viene raggiunto, nessuno deve donare nulla e il progetto decade, fatta eccezione per alcuni casi (in genere iniziative di beneficenza, o culturali), per i quali viene stabilito dall’inizio che tutte le somme offerte verranno devolute in ogni caso. 
È il potere della Rete, che per la prima volta ha mostrato tutta la sua forza con la campagna presidenziale di Barack Obama. L’allora semplice candidato democratico lanciò la più imponente campagna di raccolta fondi (anche attraverso il crowdfunding) che mai si ricordi, riuscendo a raccogliere cinquecento milioni di dollari. Da allora si guarda con molto interesse al fenomeno e le cifre che già  girano nel settore sono di tutto rispetto: il solo Kickstarter ha superato i cento milioni di dollari. Cifre che potrebbero però rappresentare solo l’inizio visto che il crowdfunding sta per cambiare pelle, preparandosi a diventare un modello di finanziamento dal basso delle start-up. Negli Stati Uniti il passaggio è stato sancito dalla recente approvazione del Jobs Act, una legge di riforma che permette alle imprese di ricorrere al mercato per finanziarsi, raccogliendo fondi fino a un milione di dollari annui senza dover richiedere l’iscrizione alla Sec (la Consob americana). 
Questa volta però gli Stati Uniti non arrivano per primi. La Gran Bretagna è partita da tempo con successo: è già  molto popolare Crowdcube, che nel novembre scorso ha permesso al Rushmore Club di raccogliere un milione di sterline da investire nell’espansione del gruppo londinese della ristorazione. Ma anche in Italia ci sono già  due progetti operativi, e cioè Starteed e SiamoSoci. Iniziative che sembrano aver superato le forche caudine della nostra legislazione sulle imprese, anche se qualche perplessità  di ordine giuridico potrebbe sorgere. Spiega Francesco Vella, ordinario di diritto commerciale all’università  di Bologna: «Se il crowdfunding opera attraverso piccole donazioni non ci sono ostacoli, ma se si applica alle iniziative di start-up si tratta di una compartecipazione, e quindi da un lato comporta dei rischi, dall’altro bisogna tutelare questi investitori “internauti”. Per esempio chi li rappresenta negli organi di governo societari?».
«Siamo operativi da metà  ottobre – spiega Dario Giudici, amministratore delegato di SiamoSoci – abbiamo quattrocento progetti registrati, cinquanta pubblicati e duecentocinquanta investitori registrati, e abbiamo già  chiuso tre operazioni di finanziamento. La prima è Viamente, una società  che fornisce software alle aziende per la gestione ottimale della propria flotta aziendale (trecentomila euro raccolti). Poi ci sono Geomercato (vendita diretta di prodotti agricoli col sistema dell’ultimo miglio, raccolta cinquecentomila euro), e Rocket design (oggettistica per la casa ispirata al rock, centomila euro)».
In effetti anche sul modello “tradizionale” di crowdfunding ci sono piccoli progetti imprenditoriali: «Il primo progetto finanziato da noi – spiega Chiara Spinelli, project manager di Eppela – è stata la produzione artigianale di capi d’abbigliamento a tema vegano-animalista. L’autrice del progetto ha richiesto una piccola cifra, cinquemila euro, che le ha permesso di avviare una produzione fiorente e di lasciare un lavoro che non le piaceva». Certo, molti progetti rimangono al palo. Nel crowdfunding conta la capacità  di “vendersi bene”: «I tuoi amici sono il tuo capitale», recita la prima regola del manifesto kapipalista (redatto dal fondatore di Kapipal Alberto Falossi). Proprio per questo il crowdfunding si basa sulla fiducia, che può anche essere tradita dall’autore del progetto. In questo caso, per l’equity crowdfunding opera la stessa tutela prevista per i soci delle imprese. Mentre per il modello reward-based giova la vigilanza dei curatori del sito e degli utenti: «Noi controlliamo la fondatezza dei progetti, anche se legalmente non ne siamo responsabili, e se sentiamo puzza di bruciato non li pubblichiamo», dice Chiara Spinelli. Però in ultima analisi è fondamentale il controllo degli utenti: su Kickstarter è stata appena smascherata una truffa. Per la realizzazione del gioco di ruolo Mythic: The Story of Gods and Men venivano richiesti ottantamila dollari, e ne erano già  stati erogati cinquemila. Ma le immagini degli screenshot erano state rubate ad altri siti, la truffa è stata denunciata e gli autori sono scomparsi nel nulla


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