Commissioni bancarie Fiducia, ma i «sì» calano
ROMA — Il governo incassa la fiducia sul decreto relativo alle commissioni bancarie. I sì sono stati 447, i no 73 e 31 gli astenuti. Il voto finale sul provvedimento è fissato per la tarda mattina di oggi. Il risultato dello scrutinio di ieri tuttavia si segnala come il secondo più basso dopo i 420 sì ottenuti lo scorso 9 febbraio sul cosiddetto svuotacarceri, a conferma del disagio che sta attraversano la strana maggioranza che sostiene il governo dei tecnici guidato da Mario Monti, un disagio non avvertito dall’ex premier Silvio Berlusconi giunto espressamente a Montecitorio per votare sì, cosa che invece non aveva fatto in passato.
In dettaglio, tra gli assenti 17 erano in missione. Del gruppo del Pdl 35 hanno disertato il voto, a questi vanno aggiunti sei deputati che hanno votato no alla fiducia: tra loro Guido Crosetto e Alessandra Mussolini. Tredici gli astenuti (Giorgio Stracquadanio è uno di questi e ha dichiarato che in futuro non è detto che voterà ancora Pdl), tra questi vanno inclusi alcuni componenti della commissione giustizia come Manlio Contento, Enrico Costa, Maurizio Paniz, Francesco Paolo Sisto, Luigi Vitali. Passando all’altro campo, nel Pd gli assenti erano 9. Tra i finiani di Futuro e libertà 5 non hanno messo piede in Aula e quattro si sono astenuti. Anche Lorenzo Cesa e due deputati dell’Udc non hanno partecipato allo scrutinio. Nel gruppo dell’Italia dei valori mancava Antonio Di Pietro, assieme ad altri cinque colleghi di partito. Numerose anche le poltrone vuote tra i banchi dei leghisti: dieci in tutto, compresi gli ex ministri Umberto Bossi e Roberto Maroni.
Ma che cosa cambia rispetto al testo precedente che aveva cancellato le commissioni bancarie provocando come reazione le dimissioni (poi rientrate) dei vertici dell’Abi e che il governo con uno specifico decreto aveva reintrodotto?
Cambia innanzi tutto che gli istituti di credito non richiederanno il pagamento di una somma aggiuntiva alle famiglie che andranno in rosso sul proprio conto corrente fino a 500 euro per meno di sette giorni consecutivi in ogni trimestre. Viene poi istituito un Osservatorio sul credito, che ha il compito di monitorarne l’accesso da parte di imprese, specie quelle piccole, nonché quelle costituite da giovani e donne. Questa struttura è creata presso il ministero dell’Economia ed è composta da rappresentanti del dicastero, della Banca d’Italia e dello Sviluppo economico, assieme a quelli delle associazioni dei consumatori e delle imprese. Tutti i suoi componenti non riceveranno alcun gettone di presenza e lavoreranno a titolo gratuito.
Si prevede inoltre che famiglie e imprese possano presentare un’istanza al prefetto qualora non abbiano ottenuto l’apertura di una linea di credito da parte di una banca. Il prefetto, a sua volta, dopo avere richiesto all’istituto una motivazione per averne negato l’accesso, potrà in un secondo tempo trasferire la pratica all’arbitro bancario che dovrà pronunciarsi in merito non oltre trenta giorni dopo la segnalazione.
Questo provvedimento, originariamente contenuto nel decreto sulle liberalizzazioni, ha avuto un iter parlamentare movimentato. Il governo infatti è stato battuto nell’Aula del Senato su una misura che salvava i privilegi di quei manager della Pubblica amministrazione che avevano diritto alla pensione ma restavano al lavoro. L’Aula di Palazzo Madama ha approvato un emendamento che ha abolito la norma prevista dall’esecutivo e che consisteva in questo: il taglio dello stipendio ai dirigenti pubblici (il tetto è di 300mila euro) non avrebbe dovuto contare ai fini della determinazione della pensione calcolata con il metodo retributivo.
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