Commissariato degli orrori, il fascista Baffi messo «in congedo»

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Giuseppe Padulano, questore di Trieste, con una lunga esperienza «sul campo» – è stato dirigente tra le altre cose della squadra mobile della stessa città  e della polizia di frontiera – non si tira indietro di fronte alle domande sullo scandalo sollevato dall’inchiesta che vede coinvolto il dirigente dell’ufficio immigrazione, Carlo Baffi, indagato per sequestro di persona e omicidio colposo. 
Una ragazza ucraina, Bonar Diachuk, si è suicidata il 16 aprile scorso nei locali del commissariato di villa Opicina. Ne è scaturita un’indagine, condotta dal pm Massimo De Bortoli, che lascia intravedere una pratica sistematica di detenzioni illegali all’interno del commissariato, e un profilo del vicequestore Baffi a dir poco inquietante. A casa sua sono stati trovati vari testi antisemiti, dal classico Mein Kampf a «Come riconoscere un ebreo». 
Curiosità  intellettuale? O, come ha detto l’Associazione nazionale dei funzionari di polizia, una normale libreria per chi ha lavorato nella Digos? Sarà , ma Baffi li leggeva all’ombra del busto e dei poster del Duce che sfoggiava come arredo.
E si fosse limitato a farlo in privato. Il fermacarte del suo ufficio pare fosse un oggettino per amatori – sempre il Duce – ed è stata trovata una targa con su scritto «ufficio epurazione», invece di ufficio immigrazione. Nessuno l’ha mai vista? «Ma figurarsi se era appesa – dice il questore – posso assicurare che è stata trovata ben chiusa in un cassetto». 
E di Baffi, nessuno conosceva queste sue simpatie, forse non adatte a chi dirige un ufficio così delicato come quello dell’immigrazione? «I profili che sono emersi saranno oggetto di una attenta analisi interna», assicura il questore. 
Il vicequestore indagato al momento «è in congedo», e a dirigere l’ufficio è stato mandato il capo di gabinetto di Padulano. Come dire, un uomo di fiducia in un momento difficile perché, come si può immaginare, la vicenda ha scatenato un putiferio. 
Al di là  del «personaggio» Baffi, il suicidio della ragazza ucraina sta portando alla luce un altro lato «oscuro» del commissariato. Alina aveva patteggiato una pena il 13 aprile, ed era stata scarcerata il 14, un sabato. Il suo avvocato le aveva spiegato che sarebbe stata lasciata libera anche se avrebbe ricevuto un decreto di espulsione perché nel fine settimana non ci sono i tempi tecnici per la sentenza del giudice di pace e il decreto prefettizio. 
Invece la ragazza è stata prelevata da una volante della polizia, portata in commissariato, e lì rinchiusa in attesa del lunedì. Uno zelo non richiesto, lesivo della libertà  personale poiché per essere detenuti è necessario un vaglio giurisdizionale. 
Ora all’esame della Procura ci sono i fascicoli di altri 49 immigrati trattenuti negli ultimi sei mesi a villa Opicina. «Lavoriamo con grande fatica, abbiamo a che fare con leggi complicatissime sull’immigrazione, cerchiamo di fare del nostro meglio. E chi a Trieste lavora al fianco degli immigrati lo sa – si difende Padulano – ci siamo mossi sempre rispettando la dignità  di tutti. Anche nel caso, molto complesso, della ragazza che si è suicidata. È la cosa che mi colpisce di più come persona. Se ci sono profili di illegittimità  nel nostro comportamento, ci prenderemo la responsabilità . Ora vogliamo solo collaborare con la Procura. Sono sicuro che riusciremo a chiarire tutto». 

Foto: Il caso Diachuk Giuseppe Padulano difende i suoi uomini dopo le indagini dei pm: «Le leggi sull’immigrazione sono troppo complesse. Lavoriamo sodo e bene, lo dimostrano i tanti attestati di stima»


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