by Editore | 5 Maggio 2012 11:31
«Confessi, lei ha citato». «No, giuro che era involontario, anche se in vita mia ho avuto il piacere di conoscere Pajetta. Al massimo si è trattato di un riflesso pavloviano…». Subito dopo accade l’imponderabile. Il candidato sindaco del centrosinistra, vincitore a sorpresa delle primarie corse da indipendente contro il Pd, si fa una risata.
Dunque è successo, per ben due volte, a poche ore dal voto. La prima è stata opera di un comico di professione, Dario Vergassola. Marco Doria è capace di ridere. Alla chiusura della sua campagna elettorale, festa e musica, l’ispiratore Giuliano Pisapia al suo fianco, è caduto anche l’ultimo tabù, dopo due mesi di una campagna elettorale animata, si fa per dire, da protagonisti così quieti da sembrare rassegnati a un epilogo invero piuttosto annunciato. «Non sono un musone, ma neppure un tribuno, questo è certo. Quando parlo cerco di non semplificare le cose se non sono semplici. Non amo alleggerire per il gusto di farlo. La politica è una cosa nobile e seria».
Sui quarti di nobiltà di Marco Doria — figlio di Giorgio, il marchese rosso che osò iscriversi al Pci e fu diseredato da una famiglia che vanta tra i suoi antenati il celebre ammiraglio Andrea fondatore della Repubblica marinara e una trentina almeno di altri avi che danno il loro nome ad altrettanti palazzi storici della città , compreso quello del Comune — si è già scritto tutto il possibile. Su una serietà che ogni tanto rischia di essere un boomerang, meno. Che si tratti di circoli dei pensionati o di giovani dei centri sociali, il lungo passaggio sulla difesa della Costituzione e sui valori della sinistra storica è ormai diventato un tormentone. E i suoi collaboratori ricordano ancora con sgomento la lunga dissertazione su Tucidide inflitta ai portuali che lo ascoltavano nel loro circolo ricreativo.
Ma proprio in queste caratteristiche desuete c’è tutto il paradosso di questa elezione genovese. Nella città di Beppe Grillo, dove il Movimento a cinque stelle è dato in ascesa, il grande sconvolgimento delle primarie e la conseguente eutanasia del Pd spaccato tra due candidate, ha prodotto un candidato sindaco color arancione che è l’esatto contrario dell’antipolitica. Non c’è nulla di più nuovo del vecchio, e in qualche modo la presa rapida che Doria ha avuto sulla sinistra genovese va attribuita soprattutto al suo essere, come dire, abbastanza Pci di una volta. Serio, a volte algido, poco accomodante, aiutato in questo da un certo distacco nobiliare. «Possiamo darci del tu» gli disse al primo dibattito pubblico il candidato leghista Edoardo Rixi. «Non vedo alcuna necessità di farlo» replicò Doria. «Meglio precisare: non appartengo al alcun partito ma amo molto la politica, intesa come impegno civile per affrontare i problemi della società . I valori storici della sinistra devono essere uniti alla capacità di leggere la società di oggi, di tutela dei beni comuni, di ripensare il rapporto tra istituzioni e cittadini».
La contesa sulle origini politiche di Doria ha finito presto per diventare ideologica, restringendo lo spazio di discussione sul futuro di una città che fatica a intravederne uno. Gli ultimi dati elaborati dalla direzione statistica del Comune mostrano come a Genova i prezzi di quasi ogni bene crescano più velocemente della media nazionale, quasi lo 0,5% mensile in più, e questo nel luogo con la percentuale più alta di pensionati. All’inizio di giugno Fincantieri consegnerà la sua ultima nave, e da allora comincerà l’attesa per una nuova commessa, il comparto energia di Ansaldo è in grave difficoltà , anche porto è in sofferenza.
Ma tutto questo è rimasto quasi sullo sfondo dei litigi tra parenti prossimi. A lungo il centrodestra genovese ha studiato come sfruttare lo psicodramma delle primarie Pd. Si è arrovellato, ha verificato, pensato, poi come al solito ha obbedito a Claudio Scajola. Il risultato è stato la candidatura in quota Pdl di Pierluigi Vinai, membro della Fondazione Carige, considerato molto vicino all’Opus Dei, persona gradevole e molto impegnata nel mondo del volontariato cattolico, che sembra elidersi con quella del più noto Enrico Musso, senatore, ex sfidante berlusconiano di Marta Vincenzi, oggi in corsa solitaria per il Terzo polo. Naturalmente, i due non hanno fatto che prendersi a sportellate. «Peggio ancora di Doria, il senatore è figlio dei poteri forti genovesi, della famiglie che hanno sempre avuto le mani sulle città » dice il primo. «Doria è il vecchio, ma Vinai è solo un grigio funzionario di partito» replica il secondo.
L’unione fa la forza anche a sinistra. Il programma del candidato grillino Paolo Putti, tre figli, animo mite, fiero disaccordo con le sparate «leghiste» del fondatore di M5S, è simile a quello di Doria. «Vero» ammette lui. «Le similitudini sono evidenti». E allora? «Beh, lui ha già preso accordi con i partiti, è già entrato nella giostra del Pd». Ogni volta il marchese prova a stare lontano dalla rissa. «Premesso che non è mio costume parlare degli avversari…». Poi vince il richiamo della foresta, non c’è nulla di più lontano di Grillo dal suo modo di pensare. «Il M5S non ha progetti credibili. Come reperire risorse per la sostenibilità ambientale e per il mantenimento dello stato sociale? Non lo dicono. Il qualunquismo e il vaffa… servono solo per applausi facili».
A Genova la debolezza della politica ufficiale, da una parte e dall’altra, ha prodotto una corsa strana, dove la candidatura di Doria, l’unica che appare davvero forte, cominciò con un riquadro nella pagine interne del Secolo XIX, firmato dai sette amici che hanno poi condotto la sua campagna autarchica, budget di soli 80mila euro ma tanto sembra bastare. «Eravamo pochi amici al bar…». Professore, guardi che l’ex compagno Gino Paoli ha detto che voterà per Musso. «Dice davvero? Me ne dispiaccio, ma del resto siamo in democrazia…». La terza risata ormai non fa più notizia.
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