Camusso: “Troppi sacrifici, poche speranze dipendenti e piccoli imprenditori sono stremati”

by Editore | 9 Maggio 2012 5:08

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ROMA – Nel manifesto di fronte alla scrivania, la bambina chiede all’adulto: «Papà , perché hai un caporale se non sei un soldato?». Di questi tempi la campagna per la legalità  sul lavoro appare purtroppo un lusso. Sul muro alle spalle della scrivania il ritratto di Giuseppe Di Vittorio, testimonia una tradizione sindacale fatta di avanzate e di arretramenti. Ma è lo schermo del computer che attira l’attenzione di Susanna Camusso: «Vede? Mail come questa arrivano sempre più spesso. Gente disperata, che ha smesso anche di arrabbiarsi. In alcuni casi abbiamo contattato gli psicologi. Chi scrive certe cose può davvero rischiare di compiere gesti estremi».
Susanna Camusso, la crisi trasloca dalle pagine di economia a quelle di cronaca. Che cosa ha causato un salto così drammatico?
«Non penso che sia un salto. Penso che molti abbiano cominciato a convincersi che questa crisi non avrà  fine. Che i sacrifici di questi quattro anni sono stati inutili. Se alle persone togli l’orizzonte non puoi stupirti dei drammi. I sacrifici senza speranza sono la formula della disperazione».
Di chi è la responsabilità  di quei drammi? Di chi governa adesso o di chi è venuto prima?
«Non intendo commentare quella frase di Monti».
Da quando si è perso l’orizzonte?
«E’ quattro anni che il popolo dei lavoratori dipendenti e dei piccoli imprenditori fa sacrifici. Gli stipendi vengono pagati con ritardi di sei, sette, otto mesi. I crediti con i clienti diventano inesigibili. All’inizio uno spende quel che aveva messo da parte negli anni precedenti. Per anni i governi hanno detto che presto ci sarebbe stata la ripresa. Poi l’autunno scorso si è scoperto che non è cosi. Che bisogna fare altri sacrifici. E la gente li ha fatti, sperando che sarebbero serviti a uscire dalla crisi. Invece adesso si scopre che i sacrifici aumenteranno ma la crisi non finirà . Per guarire ti tagli un braccio oggi ma sai già  che domani ti taglieranno anche la gamba. E’ questa disillusione che fa nascere i drammi di questi giorni».
Quali sono i gruppi più a rischio?
«Chi ha una famiglia da mantenere e i pensionati soli. I nostri centri fiscali raccontano che molti arrivano allo sportello e confessano di non essere in grado di pagare le tasse. I pensionati che vivono da soli nella casa di famiglia sono atterriti dall’idea che arrivi una Imu più alta della loro pensione. Gli esodati, senza cassa e senza pensione, ci mandano lettere agghiaccianti».
Il 2 giugno farete una manifestazione nazionale unitaria a Roma. Che cosa chiedono Cgil, Cisl e Uil a questo governo?
«Abbiamo scelto il 2 giugno perché vorremmo che si ricordasse che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Questo governo deve cambiare e presto per non arrivare al punto di rottura con il paese. Deve decidere, finalmente, di fare una politica equa. E’ profondamente iniquo tassare sempre e solo i lavoratori dipendenti e rifiutarsi di introdurre la patrimoniale. Chiediamo la riduzione progressiva del peso fiscale sulle buste paga e un’Imu proporzionale ai redditi sulla prima casa. Chiediamo che vengano ridistribuiti i frutti della lotta all’evasione».
E’ più difficile il dialogo con questo governo o con quello precedente?
«Per noi della Cgil il paragone e impossibile perché il governo precedente non ci parlava e lavorava a dividere i sindacati. Qualcuno ha pensato che si potesse replicare anche con questo governo la scena della rottura. Magari immaginando di offrire ai mercati la testa della Cgil su un piatto d’argento. E invece oggi siamo tutti uniti a chiedere a Monti un immediato cambio di rotta e a proporre una piattaforma per la crescita. Senza quel cambio di linea temo che i drammi di questi giorni siano destinati a ripetersi».

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