Caccia al killer, si indaga anche nella scuola

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BRINDISI — Se quell’uomo in giacca scura, con in mano il telecomando della strage, non s’è accorto in quel momento che c’era una telecamera sopra di lui — eccolo il primo grave errore che ha commesso — allora forse non s’è neppure preoccupato di cancellare le impronte sul chioschetto dietro cui s’era riparato, sabato mattina alle 7.40, mentre la bomba esplodeva. Il procuratore capo di Brindisi, Marco Dinapoli, ha come un lampo negli occhi: «A Capaci quello col telecomando in mano (Giovanni Brusca, ndr) aveva fumato. Magari ha fumato anche il nostro assassino…».
Già : Capaci, vent’anni fa. E adesso, vent’anni dopo, per due giorni, ininterrottamente, gli uomini della Polizia scientifica e i carabinieri del Ris hanno setacciato palmo a palmo i dintorni e le quattro pareti del chiosco, «Il Panino dei Desideri», che si trova proprio di fronte alla scuola «Francesca Morvillo Falcone». A non più di venti metri di distanza dal cancello. Alla ricerca di un mozzicone di sigaretta, un fazzolettino usato per detergersi il sudore oppure un’impronta della mano nuda, visto che il killer, come si vede nel filmato, non aveva guanti. «Cerchiamo le prove», conferma il procuratore. Si cerca il Dna, dunque, la prova regina per inchiodarlo.
Sui cinquant’anni, giacca e pantaloni, con un odio feroce verso quell’istituto, verso quelle ragazze. Perché? «Conosceva bene il territorio, la scuola e gli orari», ragiona il giudice Dinapoli. E allora ecco, che se la mafia non c’entra e non c’entra neppure la Sacra Corona Unita, e se il procuratore aggiunge pure che «potrebbe trattarsi di un gesto isolato e individuale», la verità  potrebbe trovarsi proprio nascosta tra quelle mura, dove di giorno studiano le ragazzine ma di sera si organizzano corsi per adulti e lavoratori. Gli inquirenti si sono già  fatti consegnare gli elenchi degli iscritti. Eppoi tutti i nominativi dei docenti, dei bidelli, degli amministrativi, di ieri e di oggi. Alla ricerca del possibile movente. Perché comunque è la scuola, la pista che a questo punto sembra quella privilegiata, a meno che non si voglia credere al Breivik nostrano o all’Unabomber folle del Brindisino. Gli alibi di tutti in queste ore vengono vagliati. Sono state interrogate già  più di 120 persone.
«Di sicuro, chi ha agito è un esperto di elettronica», avverte però il procuratore di Brindisi. Perché l’ordigno che ha fabbricato era abbastanza sofisticato, anche se a basso costo: gpl, fili elettrici, polvere pirica, ma soprattutto aveva un dispositivo volumetrico, cioè un sensore che, attivato dall’impulso inviato dal telecomando, al passaggio di Melissa ha fatto scoppiare la bomba. Anche in questo caso, però, l’assassino (o gli assassini? Un testimone ha notato «tre persone con fare losco poco prima dell’esplosione») ha commesso un errore: gli investigatori ieri hanno rintracciato il supermercato dove l’uomo ha comprato le bombole del gas e pure il bidone dentro cui ha nascosto la bomba. Un colpo di fortuna: il pezzo di cassonetto con il numero di matricola stava tra l’erba del piazzale antistante la scuola. Da quel codice poi si è risaliti al supermercato e ora si stanno visionando pure i filmati del drugstore a caccia di nuove immagini utili per identificarlo.
Oggi a Mesagne, alle 16.30, sarà  celebrato l’ultimo addio a Melissa Bassi e arriverà  il presidente del Consiglio, Mario Monti. Giorno di lutto, ma anche di polemiche. C’è una discreta tensione, forse uno scontro in atto, tra le due procure che indagano sulla strage. Cataldo Motta, procuratore capo di Lecce, ieri negava perfino l’esistenza del video del killer, dicendosi scettico pure sulla teoria del «gesto individuale». Di sicuro non ha gradito la conferenza stampa tenuta in mattinata dal collega di Brindisi. Troppo clamore, secondo lui, può danneggiare l’inchiesta.


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