Bolivia: un’altra nazionalizzazione in America Latina
A poche settimane dal caso YPF in Argentina, un altro paese latinoamericano con un governo eletto ascrivibile all’aerea progressista, decide di nazionalizzare un servizio fino ad allora gestito da una società privata e straniera. In realtà solo l’ultima di una lunga serie di nazionalizzazioni portate avanti dal governo Morales, che dalla sua elezione nel 2006, ha iniziato a restituire ai boliviani gran parte delle risorse sfruttate da grandi multinazionali. Sono circa un ventina, tra società di idrocarburi, energetiche, di telecomunicazioni, solo per citarne alcune. Quello che cambia però è il contesto, oggi infatti il presidente si trova ad affrontare varie proteste sociali, la transizione e i tentativi di cambiare un sistema risulta sempre più complicato e negli ultimi mesi il consenso che i boliviani avevano nel governo è calato al 38%.
Ma per capire la portata della presenza straniera e in particolare spagnola nel paese sudamericano, è interessante il lavoro dell’Osservatorio sulle Multinazionali in America Latina(OMAL) che ha pubblicato il libro “Le multinazionali in Bolivia. Dalla denazionalizzazione al processo di cambiamento” dove si passano in rassegna tutte le multinazionali spagnole presenti in Bolivia, compresa la Red Electrica Espaà±ola. Quello che si mette in evidenza è tutto il processo di privatizzazione iniziato nei primi anni ‘90 con la Ley de Electricidad 1604 che contemplava la ristrutturazione e privatizzazione del sistema elettrico. Da allora un susseguirsi di acquisti, cessioni e vendite fino ad arrivare alla Transportadora de Electricidad che dopo cinque anni di gestione costellata da irregolarità ha deciso di dedicarsi al mercato dell’America Centrale vendendo la filiale boliviana alla Red Eléctrica de Espaà±a nel 2002. In tutti questi anni l’organo preposto alla supervisione del servizio elettrico ha sanzionato in varie occasioni le società spagnole che si sono avvicendate a fornire il servizio.
Ma c’è anche chi analizza la situazione boliviana in una prospettiva più ampia, e mette in evidenza come per una società che si nazionalizza, ad altre come la Repsol – solo per fare un nome conosciuto – si danno invece nuove concessioni, mostrando così unatteggiamento apparentemente schizofrenico della politica di governo. Le alternative al neoliberismo non appaiono più forti come a inizio legislatura e questa percezione ha provocato conflitti tra governo e popolazione in questi ultimi mesi.
La nazionalizzazione avviene proprio in questo clima di proteste e manifestazioni che proprio in questi giorni chiedono l’adeguamento del salario minimo al costo della vita. Alcuni analisti hanno letto questa nazionalizzazione come un tentativo di calmare gli animi e preparare il terreno per le prossime elezioni previste per il 2014. In realtà la notizia non ha avuto l’effetto desiderato, nonostante la giornata dedicata alla festa del lavoro la gente è scesa in strada a manifestare il suo malcontento. “Non abbiamo niente da festeggiare”, ha dichiarato il segretario della Central Obrera Boliviana, Juan Carlos Trujillo, segno che questa nazionalizzazione non è sufficiente a riappacificare i boliviani.
Un processo di cambiamento che probabilmente necessita di più tempo del previsto, e che era cominciato come era successo in Argentina, con la revisione dei rapporti col Fondo Monetario Internazionale, non a caso.
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