Barche, piscine e abiti di lusso la Atene dei ricchi sfugge alla crisi

by Editore | 10 Maggio 2012 7:30

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ATENE – La Athalanta, 28 metri di pura potenza marina, è già  pronta a levare le ancore. Sulla Persephoni, un parabordo più in là , due ragazzi in alta uniforme tirano a lucido il ponte di questo puledro dei mari da 80 piedi (uno sfizio da 3 milioni) mentre il display dell’autobotte che riempie i serbatoi macina numeri come una slot-machine: «Fatto, 960 litri a 1.700 euro», grida l’addetto ai marinai di bordo. Mercoledì ore 17, Marina Kalamaki, pochi chilometri a est del Pireo. La Grecia a prova di austerity quella che Merkel e la Bundesbank proprio non riescono a mandar giù sta facendo le prove generali per il week-end
Il 27,5% del Paese è stato spinto dall’austerità  sull’orlo dell’esclusione sociale, la disoccupazione è schizzata al 22%, il livello di vita del ceto medio è stato riportato indietro di vent’anni dai tagli a stipendi e pensioni. Qui sui pontili più esclusivi dell’Egeo però, tra una foresta di alberi di barche a vela e una distesa di yacht da sogno, i venti della crisi non sono mai arrivati. E l’unica preoccupazione, quanto a tempeste, è un bollettino del mare che preannuncia Meltemi per sabato. «Speriamo di no – dice Christos, addetto alla sicurezza dell’area – Ci sono trenta gradi, è arrivata l’estate. Vede le barche ormeggiate a questo molo? Domenica scorsa non ce n’era una. Tutti fuori, a prendere il sole a Salamina o a Serifos». 
La Germania può mettersi il cuore in pace. La Grecia – il Paese povero più ricco del mondo, scherzano qui – danza da mesi sull’orlo del crac. Ma per un po’ di greci («un po’ più di un po’», dice Christos) la festa non è mai finita. «Chi sono? Piacerebbe saperlo anche a me!» ammette Iannis Kapeleris, lo 007 che il governo Papandreou aveva sguinzagliato dietro i ricchi invisibili di Atene, un esercito di fantasmi visto che nel Paese solo 15mila persone dichiarano più di 100mila euro l’anno. Lui ha provato a stanarli: ha mandato gli uomini della finanza nelle marine a cinque stelle per riprendere con le telecamere gli yacht “sospetti”. Ma è servito a poco. «Qui l’evasione è ancora lo sport nazionale», scuote la testa Christos. Le telecamere del ministero del Tesoro sono già  finite in soffitta. E il grosso grasso patrimonio greco – a Kalamaki un posto barca costa più o meno 3mila euro al mese – continua a sfuggire ai radar dell’erario e della crisi. «Qualcuno ha spostato la sua vela in Montenegro o in Turchia per risparmiare e l’affitto giornaliero di un 70 piedi è sceso da 4mila a 2.500 dollari», ammettono alla Marina di Glyfada. Ma di yacht fermi in banchina la domenica ne restano pochi.
L’Europa dei falchi – sotto accusa per avere messo in ginocchio la Grecia – schiuma rabbia. L’evasione ad Atene è un business da 40 miliardi l’anno. Più o meno il 20% del Pil. Germania, Olanda e Danimarca hanno tenuto settimane di corsi ai funzionari del Tesoro ellenico per insegnar loro l’Abc della caccia all’evasore. I risultati però sono stati inferiori alle aspettative. Il governo ha messo online una lista di 4mila contribuenti infedeli, ha varato qualche operazione mediatica stile Cortina, come si direbbe da noi. Nel 2011 però è riuscito a recuperare “solo” 900 milioni di arretrati, più delle attese ma una goccia nell’oceano dei quattrini sottratti alle casse dello Stato. 
La buona volontà , intendiamoci, non manca. All’epoca di Papandreu, Kapeleris & C. hanno inviato i loro Droni nei cieli di Kifissia, la collina a nord di Atene dove si sono trasferiti tutti i Paperoni della città  per sfuggire al degrado del centro. Le spie aeree hanno svelato il segreto di Pulcinella: le 300 piscine dichiarate nell’area sono in realtà  diverse migliaia, malgrado molti furbetti si fossero affrettati a coprirle con teloni mimetici. Eppure in questa Beverly Hills ateniese la vita scorre come prima, in un’ostentazione che fa a pugni con i problemi del resto del Paese. Zero saldi, le strade pedonali in marmo lucide come biliardi, i tavolini dei ristoranti sotto i tigli e le robinie strapieni e nemmeno uno dei cartelli “Enoikiazetai” (“Affittasi”) spuntati come funghi sulle vetrine del resto della Capitale, dove in due anni ha chiuso il 20% dei negozi. “Be chic by giving”, recita il motto sulla vetrina di Vardas a Kifissia. Il vestito più economico è un tubino nerazzurro da 379 euro. «Piace tantissimo, ne sono rimaste poche taglie», assicura la commessa Helena. Lo sapesse la Merkel, sospenderebbe da domani gli aiuti alla Grecia.

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