Atenei in mezzo al guado
La riforma universitaria del «3+2» stava raggiungendo i suoi obiettivi, cioè allineare la formazione superiore italiana a quella degli altri paesi europei. Questa tendenza positiva è stata interrotta dalla crisi economica, fenomeno tellurico che ha messo in rilievo le fragilità delle università italiane, che possono però essere affrontate introducendo criteri meritocratici per quanto riguarda la valutazione degli studenti e, soprattutto, dei docenti e ricercatori. È questo, in sintesi, il quadro che emerge dalla XIV indagine sul Profilo dei laureati del 2001 di AlmaLaurea, che sarà presentato oggi a Napoli presso l’Università di Napoli Federico II. AlmaLaurea è il consorzio interuniversitrio costituito alla fine degli anni Novanta del Novecento e che ora vede la partecipazione di oltre cinquanta atenei italiani. Un osservatorio attento delle dinamiche «strutturali» delle università che ha registrato punti di forza, ma anche limiti dei vari interventi governativi tesi a riformare le università italiane per raggiungere gli obiettivi del cosiddetto «Bologna Process», l’istituzione cioè di un sistema universitario europeo che facesse della conoscenza l’arma migliore per reggere l’urto della globalizzazione e di una aspra concorrenza tra le diverse economie nazionali e continentali. AlmaLaurea non ha mai nascosto la sua mission, ma a quattordici anni dalla sua costituzione non può che constatare la battuta di arresto di una modernizzazione tanto agognata, quanto non raggiunta. Sono infatti da tre anni che l’indagine annuale segnala le crescenti difficoltà delle università italiana di reggere l’urto di quella crisi che ha determinato una riduzione continua e progressiva dei finanziamenti statali alle università . Progressivo «invecchiamento» del personale docente e dei ricercatori e mancanza di risorse per garantire un ricambio, fattore che ha alimentato la crescita del precariato intellettuale negli atenei. Difficoltà nel definire criteri di valutazione del lavoro di ricerca; difficoltà infine nel garantire servizi adeguati a garantire un diritto allo studio. Queste le tendenze emerse negli anni precedenti. Quest’anno però AlmaLaurea tira un bilancio della riforma del cosiddetto «3+2». Per il suo direttore, Andrea Cammelli», l’immagine adatta per sintetizzare il giudizio è del «bicchiere mezzo pieno». Sono infatti aumentati i laureati, passando dai 172mila del 2001 ai 289mila nel 2010. E tuttavia solo il 20per cento dei giovani tra i 25 e i 34 anni è in possesso di una laurea, contro il 37 per cento dei loro «colleghi» europei. Inoltre, solo il 29 per cento dei diciannovenni si iscrivono all’università . Per AlmaLaurea questa poca voglia di laurearsi è dovuta certamente alla struttura del mercato del lavoro, ma anche a un calo demografico che non è contenuto da iscrizioni di giovani non italiani. Da questo punto di vista, la distanza italiana rispetto ad altri paesi nell’attrarre giovani «extracontinentali» rischia di trasformarsi in una voragine. Non è questa la valutazione di AlmaLaurea, che anzi sottolinea come i giovani universitari valutino discretamente i servizi offerti dalle università italiane: il 35 per cento è contento sia delle strutture – aule e strumenti informatici a disposizione – che delle biblioteche. Bisognerebbe però sapere cosa ne pensa il restante 65 per cento. AlmaLaurea affronta anche altri due aspetti sull’accesso alle università italiane: la mancata propensione a una mobilità territoriale e il rapporto tra formazione universitaria e accesso al mercato del lavoro. Sul primo punto, è vero che la stragrande maggioranza dei giovani preferiscono frequentare università della propria città , provincia e regione. Non perché pigri, ma per i costi alti della formazione universitaria e, va aggiunto, per la quasi inesistenza di strumenti che favoriscono il diritto allo studio – borse di studio, case dello studente a prezzi ragionevoli. E quando la domanda si sposta sulla disponibilità a spostarsi per cercare lavoro, emerge un quadro di forte mobilità dal Sud verso il Centro e il Nord della penisola. Dunque niente bamboccioni in vista. Semmai la constatazione di una diffusa disoccupazione giovanile e, ma questo emergeva nell’indagine dello scorso anno, una tendenza a quella «circolazione dei cervelli» che accomuna i giovani italiani a quelli degli altri paesi europei. Infine il mancato rapporto tra formazione universitaria e ingresso nel mercato del lavoro. AlmaLaurea ha presentato la sua indagine presentando un grafico che illustra come in Italia, il possesso di una laurea non è sinonimo di lavoro qualificato, ben retribuito. Chi è laureato – senza grandi differenze tra laurea triennale e specialistica – finisce a fare lavori precari, dequalificati, sottopagati, che spesso non hanno nulla a che fare con il titolo di studio. Il ritorno del censo È questo uno degli aspetti più interessanti della XIV indagine sui laureati di AlmaLaurea, che testimonia come l’università non sia più quello strumento di promozione sociale che accompagnato la sua «apertura» dopo la «rivoluzione del Sessantotto». E se si lega a questo fattore un altro dato emergente dall’inchiesta – la relazione tra condizione sociale di partenza e accesso in università prestigiose -, emerge in tutta la sua ruvidezza la crisi dell’università italiana. Mettendo infatti a confronto i dati dello scorso anno con quelli presentati ieri, c’è da dire la presenza di una linea di censo nell’accesso alla conoscenza è molto più che un rischio. In fondo, è quello che denunciano studiosi e ricercatori di altri paesi europei. La crisi, insomma, sta mettendo in discussione quel diritto di accesso alla formazione, secondo linee tuttavia diverse da quelle dal passato. Non ci saranno infatti barriere all’ingresso alla formazione universitaria, ma una divisione radicale tra centri d’eccellenza e atenei che formano laureati con una formazione questa sì aderente alla domanda del mercato del lavoro. Sta in questo la linea del censo che sta caratterizzando l’università europea. Da questo punto di vista, il progetto illuminista del «Bologna process» si sta trasformando in un incubo. E rischia di riempire a metà il bicchiere usato da AlmaLaurea per sintetizzare lo stato dell’arte degli atenei. Ma con liquido che lascia l’amaro in bocca.
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