Anarchia Quei nemici del potere tra violenza e pacifismo

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Non è per nulla detto che la crisi economica sia il terreno più propizio per la nascita di movimenti sovversivi; ma evidentemente qualcuno pensa sia così, che cioè le persone in difficoltà  si sentano risarcite da ferimenti e attentati di presunti responsabili, grandi o piccoli manovratori del sistema. Che colpirne uno significhi educarne cento, e preparare le condizioni della rivoluzione. Quel qualcuno e’ un terrorista, figura ben nota al nostro passato e, pare, anche al nostro presente. Ma mentre un tempo si qualificava ‘comunista’, oggi quel terrorista si presenta come ‘anarchico’. In realtà , come un anarchico speciale, che nell’immancabile documento di rivendicazione polemizza ferocemente – con un linguaggio ricco di venature irrazionalistiche quasi di destra – anche contro i suoi compagni anarchici non violenti, o meno violenti, o meno dissennati. 
Ma che cosa è l’anarchia, che ora viene alla ribalta dopo essere stata quasi dimenticata, o associata, nell’immaginario collettivo, a un passato remoto, quasi favoloso, di dinamitardi e di tirannicidi? Che si possa e si debba fare politica contro l’arché, contro il principio e contro il potere – cioè contro l’ordine gerarchico, la sua origine e la sua pretesa necessità  – , è il cuore dell’idea anarchica. Un’idea che si basa sullo sviluppo estremistico delle categorie che costituiscono l’architettura della modernità : libertà , uguaglianza, fraternità . L’estremismo sta nel fatto che l’anarchico pensa che la natura umana sia buona in sé, e che il potere sia un artificio derivante dalla violenza, dalla corruzione, dall’alienazione; che la politica possa essere in perfetta continuità  con la morale, e non debba sovrapporsi ad essa o contraddirla.
Dall’illuminismo in poi, mescolandosi e scontrandosi con il liberalismo, con il socialismo e con il marxismo, ma nutrendosi anche di spirito religioso (cristiano come in Tolstoj, induista come in Gandhi), l’anarchismo si è presentato come un movimento non certo unitario ma riconoscibile per obiettivi – la lotta contro ogni forma di dominio, per l’affermazione della libertà  – , se non per metodi e per organizzazione. Anche se, per l’accentuazione del primato dell’individuo e della sua libertà , l’anarchico ha qualcosa a che fare col liberalismo, se ne distingue sul tema dello Stato (che è per lui il male assoluto – gli uomini possono esser vincolati solo da obbligazioni liberamente scelte da ciascuno – ) e sul tema della proprietà  e della concorrenza, che l’anarchico vuole sostituire con la cooperazione. D’altra parte, se per l’orientamento all’uguaglianza e all’emancipazione dal dominio e dallo sfruttamento, l’anarchico è vicino al socialismo, tuttavia non è innamorato della rivoluzione in sé o del partito che disciplina i militanti, ma solo della libertà ; ovvero, è un rivoluzionario che porta con sé, sempre, anche la rivolta soggettiva contro ogni potere istituzionale e oggettivo. Dai borghesi e dai comunisti gli anarchici si distinguono per l’incapacità  di darsi una linea politica, per la volontà  di fare subito piazza pulita col passato, con la tradizione del potere e con la sua autoriproduzione.
In questa sua utopicità , l’anarchia è spiazzante, perché nega ogni stabilizzazione – a cominciare dallo Stato – . Ed è anche provocatoria, in quanto rifiuta il potere appunto perché lo fiuta da lontano, sotto ogni travestimento, e lo smaschera. Così Proudhon lo vede nella proprietà , e Stirner nel diritto e nella legge; così Bakunin lo vede nel comunismo di Marx, nel suo autoritarismo pedagogico-scientifico, che genererà  la nuova classe dei rivoluzionari di professione e dei burocrati del dominio; così fino agli anni Trenta i sindacalisti anarchici catalani e spagnoli (una delle poche occasioni in cui l’anarchismo assume un volto di massa) ribadiscono che l’obiettivo della loro azione è la totale e assoluta liberazione dell’umanità , cioè appunto il comunismo anarchico. 
Impegnato a prendere sul serio la politica moderna per realizzarla compiutamente, l’anarchismo la critica dall’interno mostrandone i limiti e le contraddizioni; ma al tempo stesso riduce all’assurdo lo stesso impulso moderno all’emancipazione, e, pretendendo che questa si affermi in assoluta purezza, sembra volerne testimoniare l’impossibilità  pratica. Se c’è un’antipolitica, questa è proprio la politica anarchica. 
Un insieme di paradossi e di contraddizioni, dunque, di nobili impulsi e di realizzazioni necessariamente mancate. A cui corrisponde un destino non solo di sconfitte, ma anche di divisioni interne ferocissime, all’insegna di un’etica della convinzione che rinuncia alla responsabilità , all’efficacia dell’azione – che si risolve in gesto dimostrativo, o in insurrezione momentanea – e anche al confronto col resto del mondo. L’universo anarchico è infatti settario, chiuso in sé; e vede in ogni avversario un simbolo – il simbolo del Male, del Potere – ; questo è il motivo della più grande contraddizione di questo movimento, che cioè dal suo proclamato umanesimo si genera la violenza più astratta e dogmatica (anche in questo caso, fra grandissime polemiche interne all’anarchismo, una parte del quale se ne dissocia), e che il suo libertarismo si rovescia in nichilismo. La sequenza di attentati che dagli anni Settanta dell’Ottocento in poi hanno scosso l’Europa e l’America e che sono costati la vita a re e presidenti, a imperatrici e a uomini politici, avevano la pretesa di colpire non tanto la persona quanto ciò che essa simboleggiava; e in realtà  davano così alla vita umana un valore pari a zero, proprio facendone qualcosa di sacrificabile per un’idea – il che è paradossale, per il movimento che si proclama umanitario – .
E’ la mancanza di rapporto con la politica, l’urto frontale contro la sua costitutiva dimensione di potere, a rendere l’anarchismo non solo inefficace ma anche estraneo al comune sentire; è questo il motivo per cui l’anarchismo è generalmente associato non alla speranza di liberazione ma a un’incomprensibile e cieca violenza – non un sogno ma un incubo – ; è questo il motivo per cui la sua possibile funzione di coscienza critica si rovescia in fissazione – una fissazione anti-potere, che fissa e stabilizza a sua volta il potere contro un nemico interno pericoloso e sprovveduto al tempo stesso – . E’ questo il motivo per cui la generosità  che dovrebbe far parte dell’originaria idea anarchica si rovescia in spietatezza, e il suo dinamismo diventa sterile immobilità . Cosi’ si dimostra che il potere politico fa male non solo quando è idolatrato o lasciato fuori controllo, ma anche quando è combattuto come il male assoluto. E’ molto meglio riconoscerne l’esistenza e addomesticarne la forza: la via della democrazia, appunto, che gli anarchici (e non solo loro) disprezzano.


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