Amaro 2012, altri 130 mila posti in meno

by Editore | 4 Maggio 2012 10:06

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ROMA – Dovremo resistere un anno, prima di vedere la crescita perché il 2012 continuerà  ad arrancare fra meno lavoro, meno consumi e un Meridione che continuerà  a pagare la crisi più di tutti gli altri. Ecco come le imprese vedono i mesi che verranno: un tunnel da attraversare per arrivare alla ripresa solo nel 2013. Nel frattempo loro assumeranno di meno, le famiglie acquisteranno di meno e il Meridione invece di riacciuffare il resto del Paese se ne distaccherà  un altro po’. 
A raccogliere le loro previsioni ed elaborarle i dati è stata l’Unioncamere. La sintesi che ne è derivata è costellata da segni meno: il Pil quest’anno scenderà  dell’1,5 per cento (nel 2013 si tornerà  al più 0,8), altri 130 mila posti di lavoro andranno persi, i consumi caleranno del 2,1 per cento e gli investimenti del 3,8. Augurandosi che gli imprenditori abbiano esagerato quanto a pessimismo va fatto notare che nel Paese ci sarà  chi perderà  di più, chi perderà  di meno e chi non perderà  affatto.
Non perderà  l’export che anzi, nella seconda metà  dell’anno, riuscirà  a trascinare verso la ripresa parte dell’economia italiana. Le esportazioni – secondo il rapporto Unioncamere – cresceranno di meno rispetto allo scorso anno, ma il settore chiuderà  comunque l’anno con un più 2,8 per cento (meglio di tutti il Veneto che realizzerà  un più 3,7). 
Perderà  di meno il Nord dove l’arresto del Pil si fermerà  all’1,3 per cento (nel Nord -Est) e all’1,4 (nel Nord Ovest) e dove anche il calo dell’occupazione sarà  più contenuto. Dei 130 mila posti perduti nel corso dell’anno, 24 mila sono localizzati nel Nord Est, quasi il doppio (oltre 42 mila) nelle regioni meridionali. Fa impressione vedere che, secondo le previsioni delle aziende iscritte alla Camere di commercio, non vi è nemmeno una provincia a segno più, ma va anche detto che continua a piovere sul bagnato: se il tasso di occupazione previsto a Bolzano o Parma si ferma al meno 0,3 per cento, quello di Enna e Ragusa scivola al meno 3,1 e meno 2,9 per cento. In pieno contrasto con quella scuola di pensiero economico che ritiene che il Paese possa davvero ripartire solo quando ripartirà  il Mezzogiorno, a perdere – dunque – sarà  soprattutto il Sud. Un gap che si va allargando su tutti i fronti: dal lavoro al Pil (meno 1,5 per cento nella media nazionale, meno 1,8 nelle regioni meridionali) al calo dei consumi (le famiglie italiane faranno i conti in media con un meno 2,1 per cento, ma al Sud la contrazione arriverà  al 2,4). Il quadro è preoccupante, coinvolge soprattutto il mondo delle piccole imprese, il settore delle costruzioni e quello dei servizi. 
«Dobbiamo prenderne atto e smetterla di comportarci come se tra poco tutto possa tornare come prima. Non succederà » ha commentato il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello. Qualche idea sul da farsi però c’è, Unioncamere ha cinque proposte a costo zero: ammortizzare gli investimenti aggiuntivi in tre anni; un patto governo-Camere di commercio che porti sui mercati internazionali altre 10mila imprese nel triennio; una disciplina speciale che impedisca il fallimento delle imprese causato dai mancati pagamenti della Pa; il rinvio dei pagamenti Iva e Irap per i primi due anni di attività  delle nuove imprese.

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