Africa, il potere è donna “Salveremo il continente”
In Africa è l’ora delle matriarche. Donne leader, donne che comandano, figure di riferimento della società . Donne di potere, anche. In Liberia è stata rieletta per un secondo mandato di sei anni la presidente Ellen Johnson Sirleaf, prima africana della storia a capo di uno Stato. In Malawi le si affianca adesso Joyce Banda, succeduta al presidente Mutharika, stroncato da un infarto. Il mese scorso, con una mossa anch’essa senza precedenti storici, i Paesi in via di sviluppo hanno presentato un loro candidato alla presidenza della Banca Mondiale. L’iniziativa ha avuto vita breve e ancora una volta, secondo tradizione, la poltrona è andata al nome indicato degli Stati Uniti. Resta agli atti però che quel candidato era una donna, un’africana: la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala, ministro delle Finanze del suo Paese. Non sarà presidente della World Bank, ma resta una delle personalità politiche più potenti del continente.
Perfino tra i Tuareg, la cui cultura tradizionale è considerata tra le più patriarcali e maschiliste d’Africa, spicca – unica donna – la figura di Nina Wallet Intalou, bella e fiera dirigente del Movimento di liberazione nazionale dell’Azawad, che ha proclamato di recente una repubblica indipendente nel nord del Mali. In questo periodo, riferisce un’inviata di Le Monde da Nouakchott, la capitale mauritana, la casa di Nina è un crocevia di nazionalisti Tuareg e diplomatici europei. Lei tesse le fila. È una donna celebre e chiacchierata, alla quale sono stati attribuiti in passato numerosi amanti altolocati: tra di essi il libico Gheddafi, illazione che Nina smentisce con sdegno.
Non manca, in questo pantheon femminile africano, l’alloro del Nobel per la Pace. Nel 2011 ha incoronato tre donne, due delle quali – oltre alla yemenita Tawakkul Karman – sono africane: la Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee, militante pacifista, anche lei liberiana. Erano state precedute nel 2004 dalla keniana Wangari Maathai, recentemente scomparsa.
La nostra visione dell’Africa fa molta fatica ad emanciparsi dagli stereotipi; ma quando si tratta di donne questi luoghi comuni sono a loro volta confusi e contraddittori. Sappiamo infatti che quasi ovunque nella società africana la donna è relegata in una posizione subalterna, subordinata, sottomessa, anche se un po’ ovunque c’è chi si ribella contro questo stato di cose. Ma sappiamo anche che la donna è la forza trainante della società e dell’economia, che il lavoro agricolo è quasi sempre affidato a lei, così come il piccolo commercio, così come la sussistenza delle famiglie rurali, che costituiscono la stragrande maggioranza degli africani: sono le donne – e le ragazze – a raccogliere la legna, a trasportare l’acqua, a cucinare, ad accudire i piccoli. Senza il lavoro delle donne l’Africa si fermerebbe.
Non è quindi sorprendente che persone come la Johnson Sirleaf, Joyce Banda o le altre si siano distinte negli anni all’interno delle loro società , come attiviste, militanti, professioniste; ma quello che è straordinario è che siano riuscite a primeggiare, ad assurgere a posizioni di eminenza assoluta. È stata, per ciascuna di loro, una battaglia. Contro pregiudizi, mariti violenti, superiori che ne hanno sfruttato il carisma tentando poi di ricacciarle nell’anonimato della sconfitta; e anche contro la solitudine e le debolezze personali (Leymah Gbowee ad esempio non fa mistero della sua lotta per liberarsi dalla dipendenza dall’alcol); contro la devastante fatica di essere insieme buone madri e protagoniste della scena pubblica; contro l’impegno di doversi sempre dimostrare all’altezza “malgrado” il fatto di essere donne.
I lettori italiani hanno a disposizione da pochi giorni l’autobiografia della capofila di questa piccola ma illustre, e crescente, schiera di matriarche: Un giorno sarai grande, di Ellen Johnson Sirleaf (traduzione dall’inglese di Francesco Regalzi, Add editore, 448 pagine, 18 euro). È un libro nel quale si avverte, qui e là , che è stato scritto con finalità politiche da una leader che esercita tuttora responsabilità di statista: è, in certi passaggi, apologetico. Ma nell’insieme è un libro che si divora come un romanzo, sia per le sconvolgenti vicende politiche della Liberia, segnate a partire dal 1989 da due devastanti guerre civili; sia per la storia personale della protagonista e della sua lotta per sfuggire alla sorte che la voleva confinata per sempre nel ruolo sacrificale di moglie e di madre: sposa a 17 anni, madre di quattro maschi prima di compierne 23. Racconta la Sirleaf che quando era nata da pochi giorni «un vecchio saggio» predisse che un giorno «sarebbe stata grande». L’aneddoto rimase oggetto di scherzi e di battute nel lessico famigliare per anni, quando nulla lasciava presagire il luminoso destino di Ellen. Eppure il vecchio saggio aveva visto giusto. Morale: donne africane, la vostra fortuna dipende da voi.
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