Afanasij Fet, i silenzi delle parole
È da poco uscita per la prima volta in Italia, grazie ad Alessandro Niero, una raccolta di versi di Afanasij Fet, uno dei massimi lirici della poesia russa. Si tratta nel suo piccolo di un avvenimento, tenuto conto della grande considerazione che per questo rappresentante dell’arte per l’arte ebbero i contemporanei, da Turgenev a Tolstoj, da Cajkovskij ai poeti del secolo d’Argento, specie Blok e Mandel’stam, e in generale tutti i cultori della poesia russa. Arduo è restituire la bellezza viva, pubblicata dalle Edizioni Ariele (pp. 198, euro 18), colma così un’evidente lacuna in un momento di generale riscoperta di questo autore in Occidente (l’anno scorso è apparsa una silloge in spagnolo, è ora in preparazione un’ampia antologia in tedesco e anche chi scrive sta per dare alle stampe una raccolta di poesie di Fet che, detto per inciso, si discosta alquanto nella scelta dei testi da quella offerta da Niero e in questa prospettiva potrebbe essere a quella di utile integrazione).
Nella sua introduzione Niero offre una vista d’insieme sobria e meditata del retaggio poetico di Fet, dei suoi temi – l’amore e la natura, la musica e la Russia – tentando di definire la collocazione dell’esperienza lirica del poeta in anni dominati nella letteratura russa dalla grande stagione del romanzo. Niero presenta le liriche di Fet in ordine cronologico, preferendo questa soluzione a quella tradizionale della suddivisione tematica e di genere a suo tempo tracciata dal poeta stesso, e si concentra sugli esempi di lirica pura legati al tema della natura (il traduttore parla anche di «rendibilità » e mero gusto personale). Misurate e irreprensibili, le traduzioni di Niero tengono conto delle esigenze poetiche della lingua d’arrivo, l’italiano.
Afanasij Fet (Foeth) era nato nel 1820 nella proprietà di un possidente terriero di Orel, Afanasij Sensin, che aveva portato con sé in Russia una giovane tedesca, Charlotte Foeth, già in stato interessante. Il piccolo Afanasij fu registrato come figlio di Sensin e crebbe nella proprietà della famiglia nel distretto di Mcensk, ma quando il ragazzo aveva quattordici anni, si scoprì che, essendo nato prima del matrimonio della madre con Sensin, il giovane non aveva il diritto di portare il cognome del possidente. Questo fatto privò il giovane Afanasij del titolo nobiliare e segnò tutta la biografia del futuro poeta.
Formatosi a Mosca, il giovane Fet sviluppò il suo amore per la poesia, leggendo Goethe, Schiller, Byron, Lermontov e appassionandosi alla poesia di Heinrich Heine. Nel 1840 pubblicò la prima raccolta, Pantheon lirico, silloge di testi d’imitazione traboccanti di clichés romantici. Negli anni quaranta, introdotto nei salotti letterari moscoviti, conobbe Herzen, Granovskij, gli Aksakov, e Belinskij notò presto il suo talento. Malgrado il successo letterario, Fet decise di intraprendere la carriera militare che all’epoca era la via più veloce per riottenere il titolo nobiliare. Il giovane poeta lasciò così Mosca e visse nel sud della Russia dal 1845 al 1853. A quegli anni risale la tragica storia d’amore con Marija Lazic, che dopo il diniego di Fet a sposarla perì tragicamente per un incendio provocato forse dalla decisione della fanciulla di uccidersi.
Trasferito nella guardia a Pietroburgo, Fet si legò agli scrittori del «Contemporaneo», tra cui Nekrasov, Turgenev e Goncarov. Nel 1854 conobbe Tolstoj. Quando un nuovo ukaz nel 1856 pose nuove più difficili condizioni per raggiungere il titolo nobiliare, il poeta ben presto decise di congedarsi definitivamente. Tra i sodali Fet godette di profonda stima, di lui Nekrasov scrisse: «in nessun autore russo dopo Puskin si può cogliere tanto piacere poetico quanto quello che offre Fet». Eppure la sua poesia risultava lontana dagli orientamenti letterari e ideologici del gruppo. I generi lirici coltivati dal poeta, la ricerca melodica e estetizzante, l’irrazionalismo e l’impressionismo di cui era impregnata la sua poesia, non potevano trovare piena solidarietà nell’orientamento realistico e razionalistico proprio della redazione del giornale. Per converso di lui si apprezzavano i testi nei generi tradizionali dell’elegia e della poesia antologica.
Con il tempo la poesia «obiettiva», il plasticismo delle raffigurazioni cedettero sempre più nell’opera di Fet il passo all’emozione, alla sensazione irrazionale, a quella che Apollon Grigor’ev definì «poesia soggettiva e sofferente». L’inesprimibile, l’inspiegabile, lo stato di indefinitezza della coscienza, sono categorie costanti della poesia di Fet: il sogno, il delirio, la fantasticheria il suo sfondo. Il poeta sviluppa il discorso poetico sulla base di associazioni emotive che si sviluppano in inattesi accostamenti verbali, iconici e tematici. Da qui la contraddittorietà e irrazionalità delle definizioni, degli attributi, il gusto per l’ossimoro, il «silenzio della parola», la sua incapacità di trasmettere, di comunicare gli stati d’animo, le sensazioni, la voce dell’inconscio.
Centrale il rapporto con la musica: «Sono stato sempre orientato a spingermi dal definito ambito delle parole a quello indefinito della musica, nel quale io mi avventuravo fino allo stremo delle forze». La ricerca della musicalità spinse Fet a comporre molti testi nel genere della romanza, ottenendo grande considerazione da parte dei compositori e poi del pubblico. Cajkovskij lo volle paragonare a Beethoven «per forza di toccare quelle corde della nostra anima, che sono irraggiungibili ad artisti certamente grandi, ma frenati dai limiti della parola».
Il gusto per la descrizione si sviluppa in Fet nella tendenza a rendere la natura antropomorfa, percorsa dagli stati d’animo e dai sentimenti dell’uomo in un complesso intreccio di frammenti tematici e nessi metaforici. Tolstoj scrisse: «Ma dov’è che questo bonario grasso ufficiale prende questa incomprensibile audacia lirica, caratteristica dei grandi poeti?».
Nel 1860 Fet comprò l’ampia tenuta di Stepanovka e si ritirò in campagna, dedicandosi all’agricoltura e scrivendo saggi pubblicistici sulla questione agraria. Rimase comunque fortemente legato a Tolstoj e con questi condivise l’interesse per Schopenhauer (tradusse in russo Il mondo come volontà e rappresentazione). La sua concezione della poesia tese sempre più a definirsi nell’ambito della «pura contemplazione»: «Non ho mai potuto capire come l’arte possa interessarsi di qualcos’altro oltre alla bellezza» annotò il poeta nelle sue memorie. La silloge di versi proposta da Niero conferma in pieno questo orientamento di fondo della sua esperienza artistica.
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