Abu Mazen vara nuovo governo, più spazio a esponenti di Fatah

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E’ amareggiato Kayed al Ghol, del Comitato centrale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), dopo il giuramento dei nuovi ministri del governo dell’Autorità  nazionale palestinese (Anp) annunciato a sorpresa due giorni fa e guidato ancora da Salam Fayyad. Nessun palestinese può dargli torto. È evidente che la formazione di un nuovo esecutivo in Cisgiordania riduce le possibilità  di arrivare a quella «riconciliazione nazionale» che nelle strade dei Territori occupati invocano sin dai primi giorni successivi alla battaglia di Gaza tra la milizia di Hamas e gli agenti delle forze di sicurezza dell’Anp (quindi di Fatah), che a giugno 2007 vide la Striscia finire sotto il controllo del movimento islamico. 
Un anno fa le due parti avevano raggiunto al Cairo uno «storico» accordo per la formazione di un governo «tecnico» di unità  nazionale, di cui hanno ribadito l’importanza qualche mese fa con l’intesa raggiunta a Doha tra il presidente dell’Anp Abu Mazen e il leader (uscente) di Hamas, Khaled Mashaal. Questo esecutivo però non si è materializzato e Fatah e Hamas rimangono distanti e con obiettivi molto diversi. E’ evidente che la dipendenza quasi totale dell’Anp dai finanziamenti dei paesi donatori occidentali e il sostegno politico e diplomatico che Abu Mazen riceve da Stati uniti e Unione europea, limitano fortemente le possibilità  di movimento del presidente palestinese. Per Washington e diversi paesi europei, il ruolo dell’Anp dopo il 2007 è quello di dare la caccia e non si riconciliarsi con Hamas. Allo stesso tempo anche all’interno del movimento islamico sono forti le spinte contro la riconciliazione con Fatah e l’Anp. L’ala militare e diversi esponenti di primo piano di Hamas non condividono la linea morbida, del dialogo, di Khaled Meshaal e si oppongono alla «restituzione» a forze di sicurezza nazionali del territorio di Gaza che ritengono «liberato» non solo da Israele ma dal controllo di Fatah.
Più che un nuovo governo, mercoledì si è materializzato un rimpasto e un allargamento che hanno fatto salire il numero dei ministri a 24, includendo diversi esponenti di Fatah. Il movimento guidato da Abu Mazen da tempo chiedeva la fine del «governo degli indipendenti» (ma fino ad un certo punto) messo in piedi di Fayyad (che non è di Fatah). A scatenare la rabbia di Hamas è stata proprio la riconferma del premier. L’accordo raggiunto al Cairo e ribadito a Doha, esclude il primo ministro dell’Anp da qualsiasi incarico nel futuro esecutivo di unità  nazionale. Il movimento islamico ritiene Fayyad troppo legato agli Usa (fatto incontestabile) e responsabile di campagne di arresti condotte in Cisgiordania dalla polizia dell’Anp nei confronti degli attivisti islamici. Ai dirigenti di Hamas non piace neanche il programma del nuovo governo che ha per priorità  l’organizzazione del voto amministrativo in Cisgiordania, mentre gli islamisti vogliono elezioni – legislative, presidenziali e locali – solo dopo la riconciliazione. «Questo nuovo governo Fayyad approfondisce le divisioni e allontana ogni prospettiva di ricucitura», ha protestato Fawzi Barhum, un portavoce di Hamas.
L’ingresso più significativo nel governo dell’Anp è quello di Nabil Qassis, ex rettore dell’Università  di Bir Zeit, a cui va il dicastero delle finanze detenuto sino ad oggi proprio da Fayyad che ha dovuto cederlo per le pressioni di Fatah. Gli altri neo ministri sono nomi noti nei Territori occupati ma che non dicono molto all’estero. Saldi in sella rimangono Ryad al-Malki (esteri) e il ministro dei prigionieri, Issa Qaraqe. Il nuovo governo dovrà  affrontare subito il deficit di bilancio previsto per il 2012. L’Anp ha presentato un bugdet da 1,3 miliardi di dollari che sarà  coperto solo in parte dalle entrate tributarie e dai fondi promessi dai Paesi donatori. Secondo le istituzioni finanziarie internazionali a Fayyad mancano 500 milioni di dollari per avere il pareggio di bilancio.


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