Via Bellerio, ore 16.30. Il Senatur si dimette
MILANO — Dopo tanti anni, tante sfide e tensioni, tutto non può sciogliersi che nelle lacrime. Alle 16.30 Umberto Bossi ha rassegnato le proprie «irrevocabili» dimissioni di fronte allo stato maggiore della Lega. E hai voglia ad essere rodato da tanti anni di politica, hai voglia ad avere assunto il cinismo duro di chi ne ha viste tante: quando il «capo» resta silenzioso eruttando fumo mentre tutti gli chiedono di ripensarci, non c’è nessuno dei presenti che resista alle lacrime. L’uomo che ha cambiato le vite di tutti ha deciso. Lo racconta lui stesso: «Mi sono messo a piangere, poi ho smesso perché ho visto che piangevano tutti. Io ero solo d’intralcio, era inutile per me restare. Sono andato al consiglio, nessuno mi ha chiesto le dimissioni ma mi sembrava doveroso farlo».
Certo, in un’intervista che appare sulla Padania di oggi il leader spiega che «il fatto che io abbia dato le dimissioni non vuol dire che io scompaia. Se lo scordino. Resto nella Lega, da ultimo sostenitore o da segretario io resto sempre a disposizione della causa». E dunque, sarà soltanto un «militante. Anzi, no. Semplice simpatizzante». Ma tutto l’accaduto, per Bossi, è una «chiara manovra contro di me e contro la Lega».
La giornata, per Bossi, è straziante. Dopo il confronto nella notte con i familiari, Bossi smentisce via agenzie la sua volontà di dimettersi. Poi, però, pretende che gli siano letti i giornali, per filo e per segno. Non accetta che gli siano, come troppo spesso è accaduto, riassunti. Ed è lì, probabilmente, che matura la sua decisione: le intercettazioni sono devastanti. Nel frattempo Giuseppe Leoni, cofondatore della Lega autonomista lombarda esattamente 28 anni or sono, fa partire una campagna di sms per chiamare alla mobilitazione i militanti. Appuntamento in via Bellerio, per far sentire a Bossi il loro sostegno.
Ma ormai la decisione è presa. Ed è lo stesso Bossi, nominato presidente dal consiglio «federale», a dare la linea: congresso federale il primo weekend di ottobre. Nel frattempo, il Carroccio sarà retto da un triumvirato: Roberto Maroni, Roberto Calderoli e l’ex presidente della Provincia di Vicenza Manuela Dal Lago. Poco più tardi, tuttavia, le agenzie battono la notizia che anche Calderoli sarebbe stato beneficiato dalle casse di partito attraverso Francesco Belsito. Più tardi ancora, forse per rincuorare i militanti affranti, si diffonde la voce che comunque Bossi potrebbe tornare a candidarsi al congresso di ottobre. Le tensioni si sciolgono nella commozione e anche le assemblee degli autoconvocati che avrebbero dovuto chiedere a gran voce il congresso federale si trasformeranno in appuntamenti dell’orgoglio leghista. Il Carroccio decide anche il sostituto di Belsito, l’ex sottosegretario vicentino Stefano Stefani. E i conti del Carroccio dovranno essere subito sottoposti al vaglio di una società di consulenza esterna.
L’uomo del giorno è Roberto Maroni, il candidato naturale alla successione. Bossi lo sa e vuole superare una volta per tutte le lacerazioni del movimento. E ai microfoni del Tgcom lo chiarisce: «Non è vero che sia un traditore». Oggi stesso i due leader torneranno a incontrarsi in via Bellerio. I «barbari sognanti» avrebbero sperato in un congresso più ravvicinato nel tempo. Ma, spiega un amico dell’ex ministro dell’Interno, i prossimi mesi serviranno a «mettere a punto una nuova fisionomia del Carroccio, una Lega dei sindaci e degli amministratori attentissima al territorio e molto meno legata ai vecchi slogan che ormai a tanti appaiono usurati. Inoltre, il congresso a ottobre servirà a definire le alleanze e segnerà l’inizio della campagna elettorale per le politiche 2013».
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