Una pallottola per Emir Suljagic, un premio per l’ulema Ceric

by Editore | 6 Aprile 2012 8:30

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La sua iniziativa ha scatenato reazioni furibonde che, secondo diversi attivisti per i diritti umani, hanno preparato il terreno per le successive minacce. Uno dei suoi principali antagonisti è stato il potente capo della comunità  islamica della Bosnia Erzegovina, il reis ulema Mustafa Ceric che, la settimana scorsa, ha ricevuto a Roma un importante premio per la Pace.
Chi è Emir Suljagic
Emir Suljagic è uno dei (pochi) bosniaco musulmani sopravvissuti all’assedio e caduta di Srebrenica. Rifugiatosi nella cittadina della Bosnia orientale all’inizio della guerra, era diventato interprete dei caschi blu grazie al fatto che parlava un po’ di inglese. È lui il ragazzino che si vede nei filmati del Tribunale dell’Aja mentre traduce l’incontro tra Mladic e il comandante degli olandesi, dopo la caduta della città . Su Srebrenica e sull’assedio, Suljagic ha scritto pagine importanti. Il suo libro Cartolina dalla fossa, da poco uscito anche in Italia (Beit edizioni), è una sorta di diario della vita nell’enclave vista attraverso gli occhi di un adolescente. L’autore parla della ferocia dell’assedio, dei crimini commessi dall’esercito serbo bosniaco, del genocidio. Ma Suljagic non volta lo sguardo di fronte ai crimini commessi dai «suoi», descrive lo sfruttamento, le malversazioni e la corruzione che regnavano in una città  sottoposta all’arbitrio dei suoi capi militari e, soprattutto, racconta le angherie commesse dalle forze di pace, i caschi blu. La parte in cui racconta come un ufficiale olandese cancella con un tratto di pennarello il nome del fratello di Hasan Nuhanovic (l’altro interprete) dalla lista dei lavoranti, di fatto condannandolo a morte, è un’accusa senza appello e, insieme, un incubo. Dopo la guerra, per diversi anni Suljagic ha seguito come giornalista i processi del Tribunale dell’Aja. Infine è entrato in politica, con i socialdemocratici, diventando ministro nel gennaio del 2011.
Avvertimenti mafiosi
«Lascia stare Allah e la sua religione, o la mano del fedele ti colpirà ». Questo è stato il messaggio che Suljagic ha trovato l’8 febbraio scorso nella sua cassetta delle lettere, chiuso in una busta. Nell’involucro c’era una pallottola calibro 7.32. Già  una volta, l’anno scorso, la sua proposta di ridimensionare il peso della religione nelle scuole aveva suscitato dure reazioni, spingendolo alle dimissioni. I suoi colleghi del partito socialdemocratico però (Sdp), alla guida del Cantone di Sarajevo, lo avevano sostenuto, convincendolo a restare. Stavolta è rimasto solo e, di fronte alla gravità  delle minacce, ha deciso di mollare.
Le critiche nei suoi confronti erano arrivate soprattutto dal leader della comunità  islamica bosniaca, il reis ulema Mustafa Ceric. A maggio del 2011, in un discorso particolarmente duro tenuto di fronte a 30.000 fedeli a Blagaj, Ceric si era scagliato contro le proposte del ministro avvisando che i musulmani sarebbero scesi in strada dando vita ad una «estate di Sarajevo», con riferimento alle primavere arabe, aveva affermato che «le scuole sono nostre» e condannato «quelli che vogliono fare a Sarajevo quello che è stato fatto a Srebrenica», cioè il genocidio. Nello stesso discorso Ceric aveva accusato Vera Jovanovic, presidente del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della Bosnia Erzegovina, schieratasi dalla parte di Suljagic, di «odio» verso i musulmani.
A seguire, il ministro e la sua famiglia avevano cominciato a ricevere minacce e mail di maledizioni. L’episodio della pallottola è stato l’ultimo di una lunga serie. Nella lettera di dimissioni pubblicata sul portale del governo del Cantone, Suljagic ha scritto che “quelli che si nascondono dietro la religione per minacciare me e la mia famiglia usano (la religione ndr) per mantenere il potere e i privilegi indebitamente accumulati”.
Dopo l’annuncio delle dimissioni, sui muri della capitale sono comparsi slogan a favore del ministro. Le scritte più ricorrenti erano «Siamo tutti Emir», «La dignità  invece delle poltrone», «Attenzione alle pallottole». Un grande striscione diceva che Suljagic non era il «ministro dell’oscurità », come era stato definito da un noto quotidiano bosniaco, ma «il ministro degli insegnanti e dei loro allievi». Alcune centinaia di persone, tra cui molti insegnanti, hanno partecipato ad una manifestazione a favore di Suljagic. Il ministro però non è tornato sui suoi passi. Secondo alcune indiscrezioni, anzi, avrebbe ormai lasciato il Paese.
Un «premio per la pace»
Il 20 marzo, a Roma, il reis Ceric ha ricevuto il premio della Fondazione Ducci per il suo impegno a favore della Pace e, in particolare, per la sua «promozione del dialogo tra le religioni e le culture». Il premio è stato consegnato nel corso di una cerimonia in Campidoglio. Insieme a Ceric sono stati premiati Marco Impagliazzo, presidente della Comunità  di Sant’Egidio, e André Azoulay, presidente della Fondazione Anna Lindh. In Bosnia Erzegovina diversi attivisti per i diritti umani, incluso il noto documentarista Refik Hodic, hanno aderito ad una petizione avviata dal popolare attore Fedja Stukan per chiedere alla Fondazione di non attribuire il premio all’attuale leader della comunità  islamica bosniaca. Gli estensori della petizione, non solo alla luce della vicenda Suljagic, hanno definito Ceric come «una persona che diffonde odio e intolleranza su base religiosa, e uno dei responsabili della radicalizzazione dei credenti in Bosnia Erzegovina». Il presidente della Fondazione, Paolo Ducci, ha tuttavia dichiarato che «le polemiche e le diatribe concernenti la situazione interna della Bosnia non sono rientrate, né devono rientrare nelle valutazioni del Comitato scientifico (della Fondazione ndr), che si attenuto al contributo fornito dal Ceric a livello internazionale quale promotore del dialogo interreligioso ed interculturale».
Oggi verrà  ricordato il ventennale dell’inizio dell’assedio di Sarajevo. Dalla fine della guerra ci si è interrogati su quanto profonde fossero le ferite del conflitto. La versione privilegiata dai media internazionali è che le cause della guerra erano etniche, non le conseguenze. Venti anni dopo sembra piuttosto vero il contrario. Le dimissioni di Suljagic sono un pessimo segnale dell’incapacità  della Bosnia di dotarsi di strutture pubbliche con caratteristiche di inclusività , non di divisione, per tutti i (diversi) cittadini di quello Stato. Il premio a Ceric, forse, è un segnale della nostra incapacità  di comprendere quanto le dinamiche interne di quel Paese siano importanti per il destino dell’Europa.
* Osservatorio Balcani e Caucaso

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