Un nuovo decreto per riformare la Protezione civile

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Sono alcune delle novità  previste nella bozza di riforma del sistema di Protezione civile che questa mattina approderà  sul tavolo del Consiglio dei ministri per essere trasformata con ogni probabilità  in decreto legge. Uno strumento legislativo, questo della decretazione d’urgenza, che la Corte costituzionale nel febbraio 2011 aveva già  ritenuto «improprio» in una materia come la Protezione civile, concorsuale con Regioni e comuni, e dunque – spiegavano i giudici nella sentenza numero 22 – usandolo si rischia di privare «le Regioni della possibilità  di far valere le proprie ragioni». Eppure il governo Monti ci riprova. 
La riforma ha avuto un ultimo passaggio mercoledì in preconsiglio dei ministri ed è stata discussa ieri a Palazzo Chigi in un incontro durato più di due ore tra governo, regioni, provincie e comuni a cui hanno partecipato tra gli altri il sottosegretario Catricalà , il capo Dipartimento Franco Gabrielli, il presidente della Conferenza Stato-Regioni, Vasco Errani, il governatore del Lazio, Renata Polverini, e il delegato Anci Roberto Reggi. Prevedeva, fino a ieri pomeriggio, tra le forme di finanziamento del «fondo imprevisti» del Mef (da cui, per effetto della legge 196/2009, si attinge durante lo stato d’emergenza nel caso il fondo nazionale di Protezione civile sia incapiente, come accade appunto oggi e dal 2004), anche una tassa di due centesimi su ogni sms da far pagare agli operatori di telefonia. «I gestori dei sistemi di comunicazione utilizzati per l’invio dei messaggi – si legge nella bozza di riforma – provvedono al pagamento dell’imposta, con facoltà  di rivalsa nei confronti dei clienti». Ma dopo le proteste sollevate in particolar modo ieri dai gestori e dalle associazioni di consumatori, la norma è stata accantonata.
Vedremo oggi invece se sopravviverà  al Consiglio dei ministri l’articolo che prevede una limitazione temporale degli stati d’emergenza: 60 giorni prorogabili al massimo di altri 40, mentre la legislazione vigente prevede che sia l’esecutivo a determinarne «durata ed estensione territoriale, in stretto riferimento alla qualità  ed alla natura degli eventi». Secondo la nuova disposizione (a cui si è fermamente opposto lo stesso Gabrielli), qualunque sia l’entità  della calamità , dal centunesimo giorno l’amministrazione competente territoriale dovrà  agire con strumenti ordinari, senza le risorse e le deroghe previste nello stato d’emergenza. Siamo passati, insomma, da un abuso dello strumento, impiegato anche per i grandi eventi, largamente prevedibili e programmabili, ad una limitazione molto pericolosa. 
Si attenua, invece, il ruolo del ministero dell’Economia e della Finanza, tanto voluto dall’ex ministro Tremonti ai tempi di Bertolaso: le ordinanze di Protezione civile saranno emesse «di concerto col Mef» solo nei primi venti giorni dalla decretazione dello stato di emergenza. A firmarle però potrà  essere anche il capo del Dipartimento di via Ulpiano, su esplicita consegna del Presidente del consiglio o del ministro dell’Interno, l’unico che – così detta la riforma – potrà  ottenere la delega alla Protezione civile. 
Regioni, province e comuni al momento non commentano. Ieri hanno sollevato posto sul tavolo le loro critiche. Ora la parola al governo, poi si pronunceranno.


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