by Editore | 19 Aprile 2012 7:36
E rischia di contrassegnare ancora di più il vertice in corso a Bruxelles, che doveva «spianare la strada» a quello tutto politico ed elettorale (per Obama) del 20 maggio prossimo a Chicago, come lo specchio di una doppia sconfitta.
In Afghanistan, di fronte all’ininterrotta offensiva dei talebani, non solo militare ma anche politica con l’apertura in Qatar di un ufficio diplomatico; e intestina, con una Nato alle prese ormai dal 2008 con rovesci tali che ne minano credibilità e ruolo. Un ruolo che non avrebbe più ragione di essere, venuto meno nell’89 il nemico che costituiva la ragione della sua nascita. E che invece si è rilanciato dal 1999 in chiave non più solo difensiva, dai Balcani fino al disastro del Caucaso (conflitto tra Georgia e Abkhazia) a coronamento della strategia dell’«Allargamento a Est»; e dall’Afghanistan ai preparativi verso Africa e Medio Oriente fino alle imprese di Libia. Dove, entrata in guerra per difendere i civili, l’Alleanza più potente del mondo si ritrova ora accusata da un Rapporto dell’Onu (e dalle inchieste di Amnesty International) di avere «deliberatamente colpito molti obiettivi civili», uccidendo decine e decine di inermi; e dove, invece di soccorrere i disperati in fuga per mare dai combattimenti, li ha abbandonati a morte certa dall’alto delle sue portaerei. Avanti a collezionare foto di morte. Secondo il New York Times, un lungo rapporto della Nato di questi giorni rivela che in Libia senza il ruolo primario degli Stati uniti, le operazioni militari degli alleati sarebbero state a repentaglio per mancanza di forze aeree con capacità elettroniche adeguate, di pianificatori e analisti; tanto che l’esperienza, per ora, non è ripetibile contro la Siria.
Finiamola di chiederci a che siano servite le foto di guerra che abbiamo «sfogliato», con i talebani più forti di prima in Afghanistan, la Libia allo sbando tra nuove violenze, violazione dei diritti umani e secessioni, con la tensione al culmine nel Caucaso e i nodi irrisolti della pace etnica nei Balcani. Basta bollare d’insensatezza queste avventure. Perché a conclusione di ogni impresa la macchina da guerra atlantica ha razionalizzato costi e tecnologia, integrando sempre di più il modello di difesa e di spesa militare a quello degli Stati uniti. L’acquisto da parte dell’Italia di 90 cacciabombardieri F-35 al prezzo di 10 miliardi di euro non è che un momento decisivo di questo adeguamento.
Ne è una riprova il discorso di apertura di ieri del segretario Anders Fogh Rasmussen. Incalzato dallo sbando che vede ognuno degli alleati andare per proprio conto e interrogarsi sul significato della guerra afghana – tutti, tranne l’Italia bipartisan, a quanto pare – con l’Australia che annuncia l’anticipo entro quest’anno del ritiro previsto nel 2014 per tutta la coalizione, e con la Francia dove Hollande promette, se eletto, il ritiro immediato.
Rasmussen ha ribadito ieri che dopo il 2014 la Nato non sarà più combattente, ma non se ne andrà : resterà ad addestrare esercito, Servizi e polizia. «Mi aspetto che gli alleati Nato e i partner Isaf si impegnino per pagare una quota giusta del conto totale perché – ha dichiarato il segretario atlantico – è meno caro finanziare le forze di sicurezza afghane che dispiegare truppe straniere in Afghanistan». La fattura dell’afghanizzazione della guerra è, secondo il segretario della Nato, di «4 miliardi di dollari». E oggi il vertice di Bruxelles rilancerà anche il pericoloso Scudo antimissile con annessa bolletta da pagare. Ma non era l’epoca dei sacrifici, delle rinunce e dei tagli necessari alla tenuta sociale e alla ripresa dell’occupazione? Quanto ci costa la Nato che riapre ogni volta nel mondo il suo album di cadaveri di civili e nemici, trofeo di soldati prima eroi, poi «spostati sociali» e infine sempre più suicidi?
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