by Editore | 30 Aprile 2012 9:32
ROMA — Professor Tremonti, il governo Monti si appresta a mettere mano al capitolo della spesa pubblica. Pensa che sia un’impresa possibile?
«Intanto vedo una situazione molto difficile per il nostro Paese: una doppia criticità da affrontare».
A cosa si riferisce?
«C’è una questione esterna e una interna: una europea e una fiscale che fanno dell’Italia un caso del tutto particolare».
Vediamo la prima.
«L’impressione è che dopo le riunioni al Fondo monetario, si addensino sull’Europa nubi di tempesta: la scelta di lasciarla al suo destino. È evidente nella dinamica dei mercati: c’è una progressiva drammatizzazione dello scenario. A fronte, si muove una classe politica europea che dà l’impressione di non aver mai letto un libro di storia».
Addirittura. Cosa glielo fa pensare?
«Lo spirito che domina è quello dell’appeasement anteguerra. E invece noi siamo una generazione che ha un appuntamento con il suo destino. Non è una photo-opportunity, non è un giro di parole, come il growth compact. È un passaggio importante: ci sarà da decidere quanto dobbiamo conservare dello Stato sociale».
È un giudizio molto severo su chi ci governa per un ministro che ha lasciato appena pochi mesi fa.
«I popoli per primi stanno capendo che il loro destino non può dipendere da governanti in leasing o da banchieri centrali che fanno politica. I popoli stanno cominciando a comprendere che quest’assetto non sta in piedi, che la finanza prima ci distrugge e poi si autodistrugge, che queste tecnopolitiche non hanno senso comune».
Mi scusi, ma mi sembra di sentire Grillo…
«Sono cose che ho scritto nel mio libro e nei miei documenti tecnici e che ora ho letto nel programma del francese Hollande e dei socialisti tedeschi quando dicono che la finanza è una locusta. L’ho sempre detto che bisognava separare l’attività produttiva delle banche da quella speculativa, vietare i derivati, fare gli eurobond…».
Lei era ministro dell’Economia di un governo di larga maggioranza, poteva andare oltre la semplice analisi?
«Perché Obama ha potuto fare qualcosa? Un singolo ministro può dire queste cose, ma quando sei al G20 alla fine sei uno contro 19».
Si possono costruire alleanze? Il nostro Paese è stato a lungo isolato.
«Alleanze con chi? Allora non si potevano fare. Non con la Merkel o Sarkozy, non con gli inglesi o gli olandesi. Ora si apre una fase nuova ma non la faranno questi governanti: lo spirito minimalista, estetico, fotografico, tecnico non basta. La faranno i popoli: domenica prossima si vota in Francia, Grecia, Irlanda e così via».
Parliamo dell’Italia.
«Oltre alla crisi europea ne abbiamo una interna, quella fiscale, che è questione politica per eccellenza, quella su cui da sempre si giocano le sorti dei governi e dei popoli. Non è roba da tecnici. Le faccio un esempio: la seconda casa. Se hai un approccio tecnico, hai in mente il superfluo: la casa in un luogo di villeggiatura. Ma in un Paese come il nostro, che ha avuto enormi migrazioni da Sud a Nord, dall’Appennino alla pianura, la “seconda casa” è quella di origine e per questo sfitta. Non mi pare che sia stato considerato nella tassazione».
C’erano dei conti da mettere in sicurezza. L’Ici l’aveva tolta il suo governo. Cosa avrebbe dovuto fare Monti secondo lei?
«Avevamo lasciato a questo governo una delega previdenziale e assistenziale molto ampia, allargando le basi imponibili, riducendo la tax expenditure, spostando il prelievo dalle persone alle cose, riducendo un welfaregeneroso anche con i ricchi, si poteva fare una manovra fortemente equilibrata e portare a casa, da novembre, dei risultati molto consistenti».
Di che ordine di grandezza?
«A regime si potevano ottenere 10-15 miliardi. Quella era la via maestra. E invece è stata scelta la via delle tasse e delle tariffe. Non solo. Dal governo sono stati restituiti tagli di spesa: alle Regioni per un miliardo e mezzo e ai Comuni per 500 milioni, mentre sulle Province non si è fatto nulla. E adesso ci ritroviamo a metà anno con un fabbisogno che va da 17 a 20 miliardi».
Come arriva a questa cifra?
«Intanto bisogna gestire “errori di attività “, come il caso degli esodati. O quello dell’Imu, visto che, in base ai calcoli, i Comuni devono avere di più. E poi ci sono le minori entrate da minor crescita, cui vanno aggiunte le spese per interessi, che non credo scenderanno visto che lo spread è a 400. E infine c’è il “quadro esigenziale”, che va definito da subito sull’anno prossimo, e sono altri 7-8 miliardi tra missioni all’estero, 5 per mille, autotrasporto, ecc».
Sta dicendo che, oltre ai 4 miliardi da trovare per evitare l’innalzamento dell’Iva, al governo servono altre risorse entro l’anno?
«La questione dell’Iva, come ha detto al Corriere il sottosegretario Vieri Ceriani, non l’abbiamo introdotta noi. Noi pensavamo di fare la delega e, come salvaguardia, tagliare le agevolazioni fiscali. L’Iva appare nel Salva-Italia di Monti. Due punti e mezzo di Iva, a regime, fanno 14 miliardi introdotti per avere credibilità . A toglierli si rischia ilboomerang sui mercati. E in ogni caso, per aver 4 miliardi di tagli già sul 2012, a giugno bisogna definire tagli a regime per 12 miliardi. Insomma, come ho detto, servono in tutto 20 miliardi. Ed è un dato che conoscono centinaia di analisti internazionali».
C’è bisogno di una manovra aggiuntiva o basterà la spending review?
«Io non lo so. Sulla spending review il governo in sei mesi ha prodotto solo un documento che di numeri contiene solo quello delle pagine…».
Ma secondo lei si può fare?
«Facciamo qualche esempio: anch’io mi sono messo d’impegno su capitoli come gli aerei blu, la vendita e l’accorpamento degli immobili, ecc. È tutto necessario ma non è sufficiente. Capisco che i simboli siano necessari sul piano etico-politico ma non fanno i numeri reali. Attendo la spending review con estremo interesse ma gli unici tagli che danno i grandi numeri sono quelli sugli stipendi, sui salari, sui diritti dei cittadini».
Il capitolo delle spese intermedie in realtà è molto corposo.
«I cosiddetti consumi intermedi sono concentrati nella sanità , dove la spesa italiana è sotto la media europea e contiene di tutto: da eccellenze a fenomeni di malgoverno. Alla fine tagliare significa mettere mano al Fondo sanitario, significa abbattere gli acquisti, le Tac… La stessa cosa per i trasferimenti alle imprese: si tratta dei contratti di servizio di Ferrovie, Poste, Anas. Vogliamo tagliarli? E poi i soldi ai partiti? Quelli all’editoria?».
Insomma alla spending review non ci crede.
«Io sono un parlamentare. Ora abbiamo un governo tecnico, vediamo. Finora ho visto solo tasse, tariffe e niente tagli».
Di lei si ricordano i «tagli lineari». Pur avendo avuto alle spalle un forte governo politico e una congiuntura migliore...
«Nel 2008, superando le prerogative del Parlamento, si è introdotto il principio che ogni ministero faceva la sua finanziaria, mettendo i tagli lineari come salvaguardia. Alla fine è venuto fuori che nessuno quella finanziaria l’ha fatta, tranne gli Interni, e così siamo arrivati ai lineari. Noto che i lineari Monti li ha mantenuti. Di più: il primo taglio che ha fatto a copertura dell’Imu è stato lineare».
Ammetterà che non è facile, in così poco tempo, mettere mano a tagli già contabilizzati?
«Io ho fatto una Finanziaria in 4 giorni. E comunque in tutto il mondo i tagli sono lineari e un ministro non può entrare nella gestione di un altro ministero».
Ma alla fine i suoi tagli lineari sono realistici?
«Sì, alla fine lo saranno. Sono stati recepiti. Ma il problema ora è un altro: in novembre si è edificato un monumento equestre. Io penso che invece di uccidere il cavallo, cioè l’economia, si sarebbe dovuto metterlo a regime. Con la delega fiscale».
Sicuro di non volere tornare al suo posto?
«Sicuro. Non ho rimpianti».
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