Taylor, il sangue dei diamanti
Charles Taylor, ex presidente della Liberia dal 1997 al 2003, è colpevole di favoreggiamento nei crimini di guerra commessi in Sierra leone durante la guerra civile (1991-2002), che ha provocato 120.000 morti. Così ha stabilito il Tribunale speciale delle Nazioni unite al termine di una udienza pubblica che si è svolta a Leidschendam, alla periferia dell’Aja, nei Paesi bassi. Taylor è il primo capo di stato condannato in vita dalla giustizia internazionale.
Per trovare una sentenza analoga, bisogna risalire ai tempi di Norimberga, al processo in cui, alla fine della Seconda guerra mondiale, venne condannato Karl Dà¶nitz, a capo della Germania nazista per un breve periodo dopo il suicidio di Adolf Hitler. A Taylor, 64 anni, sono stati contestati 11 capi d’imputazione che vanno dalle torture agli stupri, al reclutamento forzato di minori. Secondo la sentenza letta dal giudice Richard Lussick, l’ex presidente liberiano ha fornito aiuto e sostegno materiale ai ribelli del Fronte rivoluzionario unito (Ruf), attivi nella Sierra Leone: armi in cambio di diamanti e per il controllo delle miniere. «La camera ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che l’imputato è penalmente responsabile per aver favorito e sostenuto l’attuazione di tutti i crimini di cui era accusato», ha affermato Lussick.
Tuttavia, l’ex-presidente non può essere ritenuto responsabile diretto, in quanto, secondo il Tribunale speciale, «Foday Sankoh era l’unico capo delle Ruf e non prendeva ordini da Charles Taylor». Il 16 maggio, nel corso di un’altra udienza, il giudice sentirà nuovamente le parti, poi verrà stabilita l’entità della pena e la sentenza sarà depositata il 30 maggio.
Taylor sconterà la condanna in Gran bretagna, in base all’impegno assunto cinque anni fa dal governo di Londra «come contributo al ripristino della pace in Sierra leone». Un processo «neocoloniale», lo ha definito la difesa di Taylor, sottolineando il «significato politico» della sentenza.
Com’è venuto fuori dal processo, Taylor è stato un uomo della Cia, che l’ha aiutato a evadere dalla prigione di Plymouth nel 1985. Nell’83, l’ex signore della guerra era dovuto fuggire dal paese dopo aver stornato 900.000 dollari, si era rifugiato negli Usa ed era stato arrestato. Poi, però, tornava più utile in Liberia e perciò la Cia l’aveva fatto fuggire. La notte di Natale del 1989, la ribellione del Fronte nazionale patriottico della Liberia (Npfl), da lui capeggiato, innesca una delle più feroci guerre civili del continente africano, che durerà 14 anni e provocherà 250.000 morti e 2,5 milioni di sfollati.
Due anni dopo lo scoppio del conflitto in Liberia, la guerra si estende alla Sierra leone, devastata dalle milizie del Ruf, foraggiate dall’Npfl. Dopo la fine della guerra fredda, l’Africa è più che mai terra di rapina. Nel collasso delle strutture statali, i conflitti «etnici» nascondono la furibonda corsa al possesso delle risorse: per Liberia e Sierra leone, si tratta di gomma, oro, bauxite e, soprattutto, diamanti.
La crisi economica e la povertà estrema in cui vivono le popolazioni, rende preda delle milizie una moltitudine di giovani, vittime e carnefici in un campo o nell’altro delle guerre, come ha dimostrato anche il processo a Taylor, la cui alleanza con gli Usa non gli ha impedito di essere detronizzato da una rivolta foraggiata dall’amministrazione Bush, nel 2003. Allora lasciò la Liberia per un esilio dorato in Nigeria. Il 24 marzo del 2006, venne arrestato vicino alla frontiera con il Cameroun. Il suo processo avrebbe dovuto svolgersi a Freetown, la capitale della Sierra leone, sede del Tribunale speciale per la Sierra leone (TsSl): la prima istituzione giuridica «ibrida», organizzata dal governo sierraleonese e dalle Nazioni unite.
Il processo, che è durato dal giugno del 2007 a marzo 2011, è stato però poi spostato all’Aja per ragioni di sicurezza. Il Tribunale speciale ha iniziato i lavori nel 2002, a conclusione dei lavori della commissione di riconciliazione. Le sue finalità sono state spiegate alla popolazione con una grande campagna di informazione. I lavori avrebbero dovuto concludersi in tre anni e costare 40 milioni di euro, invece sono andati avanti per 9 anni e il costo si è moltiplicato per cinque. Avrebbe dovuto perseguire i crimini commessi allora a vasto raggio, ma la sua azione si è progressivamente ristretta, anche a seguito della scomparsa di diversi accusati.
E anche per questo, diversi analisti africani avevano uno sguardo critico sulla sentenza, salutata invece come un evento «storico» da Amnesty international e da molte Organizzazioni per i diritti umani : «Un successo importante per questa Corte e una pietra miliare nella lotta contro l’impunità », ha commentato a nome dell’Unione Europea l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, sottolineando come «le conseguenze di questa sentenza vadano oltre la Sierra Leone».
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