Taranto, allarme marea nera si apre il serbatoio del cargo in mare 15 tonnellate di gasolio

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TARANTO – L’equipaggio thailandese ha scaricato carburante in mare credendo di rilasciare acqua di sentina. Doveva alleggerire un mercantile battente bandiera panamense attraccato al terzo sporgente del molo. Ha rischiato, in questa stagione di disastri marini sulle coste tirreniche, l’ecodisastro sullo Ionio. All’interno del porto di Taranto, la città  più inquinata d’Europa. La East Castle, mercantile di ottomila tonnellate – ha soli 29 anni di vita, ma è già  affondata al largo delle coste libiche e quindi è stata riesumata per viaggi commerciali al risparmio – ha rischiato di segnare questa primavera con il suo olio denso. Accade dopo che lo scorso autunno, nell’arcipelago delle Gorgonie, il cargo Venezia aveva perso fusti al cadmio (ancora da recuperare) e a pochi giorni dalla fine del pericolo inquinamento della Costa Concordia, ancora adagiata su un fianco davanti all’Isola del Giglio.

L’ultimo allarme, nel porto industriale di Taranto appunto, è scattato alle dieci di mercoledì sera. Una larga chiazza di carburante si stava allargando davanti al molo del terzo sporgente. Brillava nella notte, oleosa, illuminata dai fari dello scalo. I marittimi della East Castle, richiamati dalle navi vicine, hanno allertato il capitano, thailandese pure lui. Ed è partito l’Sos alla Capitaneria di porto. Nel giro di un’ora, lungo la fiancata nera, 133 metri di profilo, si sono posizionati gli skimmers della Ecotaras, società  specializzata in interventi di contenimento dell’inquinamento. Quindi, i mezzi della guardia costiera. Si temeva si fosse aperta una falla nello scafo, si era ipotizzato un “crash” contro il molo: le ispezioni dei sommozzatori avrebbero successivamente escluso voragini. Nella notte il mare del porto si andava incatramando, ma le deboli correnti interne non riuscivano a spingere l’Ifo oltre i venti metri al largo e la messa in acqua delle panne e delle tele – di contenimento, di assorbimento – circoscriveva il perimetro dell’inquinamento: 800 metri quadrati. Iniziava già  nella notte, alla luce delle alogene, la bonifica. Nell’arco di diciotto ore venivano recuperate 15 tonnellate di nafta mista ad acqua, più nafta che acqua. «La densità  del prodotto e la sua concentrazione hanno reso il lavoro relativamente facile», ha detto il capitano di fregata Francesco Russo, vicecomandante della Capitaneria. «Stimiamo di completare le operazioni entro 24 ore».

Nelle acque del porto dovrebbero galleggiare ancora cinque tonnellate di carburante, per venti tonnellate totali perdute. La nafta oleosa, separata dall’acqua di mare, è già  stata avviata alla distruzione. La East Castle, mercantile varato nel 1983, di proprietà  della società  inglese Brointermed Lines, era arrivata a Taranto lo scorso 8 aprile ed era rimasta alla fonda per due giorni. Entrata in porto, il capitano l’ha ormeggiata al terzo sporgente in concessione all’Ilva, la grande e contestata fabbrica dell’acciaio. La nave panamense doveva imbarcare, infatti, 10.000 tonnellate di coils, i giganteschi nastri di laminati sfornati dal siderurgico. Le operazioni di carico sono cominciate mercoledì mattina e sono andate avanti per tutta la giornata. Mentre i coils venivano issatia bordo, l’equipaggio svuotava le casse di zavorra, utilizzate per mantenere l’equilibrio della nave.

Nel corso di questa operazione “in contemporanea” c’è stato l’errore, forse una falla – questa sì – nei serbatoi interni. Il carburante è finito nell’acqua di sentina e, una volta aperte le casse, in mare. La procura ha aperto un’inchiesta per “inquinamento colposo” e la Capitaneria ha bloccato la nave in attesa di riscontri.

Secondo i primi accertamenti, la società  inglese sarebbe riconducibile a un armatore di Marina di Carrara. Nel marzo 2010 fece ripescare la East Castle (ex Ameglia Star) fin lì appartenuta a una società  turca, sempre riconducibile all’armatore toscano. La nave, una “general cargo”, era affondata all’imboccatura del canale di Tripoli, in Libia, con un carico di 9.400 tonnellate di marmo (parzialmente recuperato). È stata poi la “Smit”, società  di Livorno che tra l’altro sta lavorando per la bonifica della Concordia al Giglio, a riportarla in superficie.

«L’incidente avvenuto nel Mar Grande di Taranto è un fatto gravissimo e pone con urgenza la necessità  di liberare il Golfo di Taranto dal petrolio», ha detto il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, ricordando gli idrocarburi sversati nelle acque portuali di Punta Rondinella – da terra – lo scorso 19 gennaio.

Con l’ampliamento del Progetto “Tempa Rossa”,a cura dell’Eni, il traffico delle petroliere verso il Golfo tarantino crescerà  di quattro volte. E Michele Meta, deputato pd, di fronte all’intensità  degli ultimi incidenti di mare ricorda come una legge che prevede la costruzione di navi “mangiapetrolio” da dislocare sulle coste italiane è ferma da un anno e mezzo in Parlamento. Per volontà  della Ragioneria di Stato.

(ha collaborato mario diliberto)


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