Suicidi e altri abbandoni, la chiamano crisi ma è una dichiarazione di guerra

by Editore | 6 Aprile 2012 10:32

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– Il 27 marzo scorso Giuseppe Pignataro, 49 anni, di Trani, si è lanciato dal balcone perché non riusciva a trovare un lavoro stabile.
– Il 23 marzo un imprenditore quarantaquattrenne di Cepagatti (Pescara) si è impiccato nella sua azienda, strozzato dai debiti.
– Il 21 marzo un uomo di 47 anni che gestiva un’attività  commerciale da due anni era senza lavoro, si è ucciso con un colpo di pistola nella sua automobile nel cosentino.
– Il 21 marzo un imprenditore edile, 53 anni, in crisi da tempo per i crediti, si e’ tolto la vita impiccandosi in una baracca dietro casa nel bellunese, mentre i familiari lo aspettavano a cena.
– Il 20 marzo un giovane artigiano di 29 anni si è impiccato a Scorano (Lecce). L’uomo ha lasciato un biglietto spiegando che non riusciva a trovare un altro lavoro e che era disperato.
– Il 9 marzo Vincenzo Di Tinco, titolare 60/enne di un negozio di abbigliamento si è impiccato ad un albero a Ginosa Marina (Taranto). In pochi giorni si era visto addebitare, forse per errore, 4.500 euro di commissioni bancarie e rifiutare un prestito di poco più di mille euro.
– A febbraio un elettricista di Sanremo, 47 anni, si è suicidato sparandosi al capo con una pistola. L’uomo era stato licenziato qualche settimana fa dalla ditta nella quale lavorava da molti anni.
– Un imprenditore 64 anni si è impiccato nello stesso mese all’interno del capannone della sua azienda, nel fiorentino, per motivi economici.
– A Paternò (Catania) un altro imprenditore di 57 anni si è impiccato in un deposito di proprietà  della ditta della quale era titolare, per i debiti contratti dalla sua azienda.

fonte: Quotidiano.net

 

Scriveva Ungaretti che i soldati stanno come d’autunno sugli alberi le foglie. Abbandonati alla solitudine della trincea, allo strazio del loro destino. Abbandonati. “Abbandonare”: ab, particella che indica la separazione, ebandum, bandiera (o truppa e armento). Chi è abbandonato è disertato. E chi abbandona – la politica, i media, la società  – condanna alla deriva. Poi c’è un’altra ipotesi etimologica: dal francese bandon, bando, non già  nel senso di “mettere in bando”, quanto vendere all’asta pubblica, dare in balìa. Lo spettro dei significati e dei rimandi si allarga oltre gli scenari di guerra, travalica i fronti, e torna a noi che siamo qui, tra esodati, intermittenti e altre linee di un esercito confinato nella sterminata Cefalonia.

Messo a sentinella del proprio terrore, il soldato avanza sulla sabbia battuta, sguardo all’erta e fucile in braccio. Giorni addietro un artigiano edile, Giuseppe, nato a Caserta 58 anni fa e residente a Ozzano, in Emilia, si è alzato, ha preso la sua Punto bianca e si è diretto verso l’Agenzia delle Entrate di Bologna. Ha cosparso l’auto di benzina – con cura, pneumatici compresi – si è chiuso dentro, ha acceso il fuoco e atteso che le fiamme lo ingoiassero. Lo ha salvato un vigile. Con la giacca si è lanciato sul falò, soffocandolo. Ha trascinato fuori il corpo di Giuseppe. Vivo, ma con addosso i segni della battaglia. In un paio di lettere, ritrovate vicino all’auto, i motivi del gesto. Una era destinata alla commissione tributaria, che gli aveva respinto un ricorso: «Quello che ho fatto, l’ho fatto in buona fede, ho sempre pagato le tasse. Lasciate in pace mia moglie, lei è una brava donna». E una alla signora: «Caro amore mio, stamattina sono uscito presto e ho avuto paura di svegliarti, oggi è una brutta giornata. Ti voglio tanto bene». Come una missiva dal fronte. Stesso fragilissimo equilibrio tra la consapevolezza della fine ormai prossima e la consuetudine degli affetti. Non ha paura più di nulla, il soldato, se non «di svegliarti».

La risposta a telecamere accese del capo del Fisco Attilio Befera, resa con piglio da generale Cadorna, ha completato il dramma a soggetto: «In un momento di difficoltà  economica e di crisi finanziaria episodi come questi purtroppo possono accadere». Insomma, è la guerra, bellezza. Non ci è chiaro, ma ce l’hanno dichiarata.

Sotto il dominio dei ragionieri, che armati di piffero vorrebbero traghettarci verso le lande della stabilità , la geremiade più intonata è «siamo stati abbandonati». Dai bisarchisti ai precari, dalle valli alle torri, dalle fabbriche ai teatri, l’umanità  affollata sul ciglio di qualcosa, svelando l’oblio, reclama il diritto di un “ritorno a casa”. Eppure, proprio nel momento in cui ci vorrebbero armati di risorgimental spirito e i dispacci propagandano «l’Italia è un paese solido» e i numeri seminano sconforto, veniamo presi da un senso di allucinante anonimato.

Al margine delle parate, coloro che all’esecutivo riconoscono la “necessità ” del suo lavoro finiscono inesorabilmente con l’accusare di “diserzione” chi tenti di placarne la marcia. È come se il concetto di abbandono avesse assunto, a forza di introiettarsi nell’esercizio di governo e nell’animo delle persone, la sua accezione riflessiva. Abbandonarsi, dunque, agli eventi e a chi li descrive. A quel potere che, in odor di resa, afferma: «Se il Paese non è pronto il governo potrebbe non restare».

La frase, pronunciata dal premier dopo settimane di Piave ideologico sull’articolo 18, insiste nell’estrema ratio: o vi concedete in toto oppure… Ma la pretesa è l’anticamera della fuga. È la dichiarazione, in forma di comando, della propria sconfitta. Si è mai visto un generale ordinare ai propri soldati di arrendersi (anzi, di abbandonarsi) per combattere? La pretesa è l’alibi perfetto. Operazione cinica e bara. E un po’ vigliacca, per rimaner nel lessico marziale. Perché la guerra c’è. La si percepisce, la si tocca con mano. La miseria, la distruzione, l’imbarbarimento. E c’è il controllo, l’autorità  e i suoi arnesi. Ma manca il racconto, la politica, le parole che sappiano preconizzare, con un “ritorno” a casa, la fine dell’abbandono. Manca un (felice) Otto settembre.

La guerra c’è. Non ci è chiaro ma ce l’hanno dichiarata. I militi ignoti marciano in un conflitto che non conoscono. Che viaggi attraverso le pianure emiliane o cingoli nelle valli di Herat, il soldato avanza, avanza, avanza in cerca di nemici, fino a inventarseli. Un mese fa il marine Robert Bales, 38 anni, ha imbracciato il mitra e ne ha uccisi 16, presi a caso tra i civili. Giuseppe l’edile, il suo, ha cercato di incenerirlo dentro una Punto bianca.

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