Spese militari in Italia, il governo tecnico dà  i numeri

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Da un governo fatto di tecnici e professori ci si aspetterebbe, almeno, che sappiano “far di conto”. Invece in questo caso, come sul costo dei caccia-bombardieri F35 e sulle ricadute occupazionali del programma, stanno “dando i numeri”. Con un’operazione contabile che ricorda molto la “finanza creativa”, con la quale si è portato il nostro debito pubblico al 120 per cento del Pil, nel documento si afferma – con “bocconiana” altezzosità  – che le spese militari in Italia sarebbero solo lo 0,90 per cento del Pil contro una media Ue del 1,61 per cento. Peccato che sia proprio la Nato (e non Anonymous) a smentire quel numero. La Nato nel suo report, “Financial and Economic Data Relating to Nato Defence” pubblicato il 10 marzo 2011 e accessibile a chiunque, confronta la spesa militare dei paesi che partecipano all’Alleanza atlantica dal 1990 al 2010. Che cosa è evidente dai dati forniti dalla Nato?
1. La spesa militare in Italia in rapporto al Pil (a prezzi correnti) non è la più bassa dell’Unione europea, come scritto nel documento ufficiale della Presidenza del Consiglio, “Governo Monti: attività  dei primi cento giorni”. Non solo è maggiore del “magico” 0,9%, ma è superiore al dato di Germania e Spagna (per restare ai paesi territorialmente comparabili al nostro). 2. Anche i dati per l’anno 2010 (i più recenti in ambito Nato) confermano che la spesa militare in Italia in rapporto al Pil (a prezzi correnti), pur escludendo la quota destinata all’Arma dei Carabinieri, non è la più bassa dell’Ue. L’Italia è al 1,4%, come la Germania e più della Spagna (1,1%), mentre la media Nato dei paesi europei è al 1,7% di poco superiore a quella italiana. 3. Infine, se compariamo non i valori statici, ma il trend – cioè la variazione nel tempo – l’Italia è uno dei paesi europei che meno hanno ridotto il peso delle spese militari in rapporto al Pil nell’arco di venti anni: in Francia questo rapporto si è ridotto del 30%, in Germania del 38%, in Grecia del 28%, nel Regno Unito del 32%, in Spagna del 25%, mentre in Italia solo del 20%.
Se permangono dei dubbi sulle fonti, consiglio di verificare non il sito della Rete italiana disarmo, ma quello della Central Intelligence Agency (Cia). Nella sua pubblicazione “The World Factbook”, c’è l’elenco della spesa militare di ciascun paese (non solo Nato) in rapporto al proprio Pil. L’Italia – secondo la Cia – spende l’1,8% del proprio Pil. Dello stesso parere è il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) – il prestigioso istituto svedese indipendente – che nel monitorare le spese militari nel mondo, secondo una metodologia corretta, include o esclude le stesse voci di spesa nei dati di ciascun paese. Nel recente rapporto appena pubblicato sull’andamento delle spese militari, il Sipri certifica che l’Italia ha speso nel 2010 l’1,7% del Pil, mentre la media nel periodo 2005-2009 era del 1,8%. È solo lo 0,2% in più dei dati Nato riportati nel grafico 1 (1,6%), ma un valore doppio rispetto a quello dichiarato dal governo italiano. 
Com’è possibile un divario così ampio? La ragione è semplice. Lo 0,9% è il risultato di una manipolazione contabile che sottrae dal calcolo delle spese militari le voci del bilancio del ministero della Difesa destinate alle pensioni provvisorie, alle funzioni esterne (es. l’impiego dei militari in interventi di protezione civile) e all’Arma dei Carabinieri (in totale più di un terzo del budget). 
Testo integrale su www.sbilanciamoci.info


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